Dalla vita di un fauno

Dalla vita di un fauno Book Cover Dalla vita di un fauno
Arno Schmidt
Lavieri
2006
9788889312094

In principio era “Dalla vita di un perdigiorno” (1826) di Joseph von Eichendorff. grottesca fantasia d’un aristocratico malato di nostalgia e intriso di spirito romantico, amabile nelle descrizioni della natura e dei sentimenti ed encomiabile per il suo distacco dalla contemporaneità. Le cui ragioni andavano, intelligentemente, indagate, e non senza pregiudizi. Quindi, fu l'espressionista “Dalla vita di un fauno” (1953) di Arno Schmidt. Che così scriveva, manifestando chiaramente i suoi intenti:

Ogni scrittore dovrebbe afferrare con decisione l'ortica realtà; e mostrarci tutto: la nera, viscida radice; lo stelo di serpe verde veleno; il fiore smargiasso (in scatola). E i vigili del fuoco, i galoppini del pensiero, i critici, dovrebbero solo smetterla con le loro fattucchierie contro i poeti, e finalmente produrre essi stessi qualcosa di squisito: allora tutto il mondo esploderebbe in evviva! Certo la poesia, come ogni altra grande bellezza, è circondata dall'adeguato numero di eunuchi; ma: i veri mori sono quelli che gioiscono delle macchie nere nel sole! (Che ci critici lo tengano presente)” (Schmidt, “Dalla vita di un fauno”, p. 32)

Anarcoide, sconnessa e frammentaria, non convenzionale e non lineare, la scrittura di Arno Schmidt (1914-1979) è un'iniezione di espressionismo, di vivacità e di intelligenza; di funambolismo e di lirismo, di satira feroce, di pura letterarietà. È tutta una parentesi, una sovrapposizione di pensieri e di stati d'animo, di incursioni di suoni e voci e visioni a puntinare e intervallare quella che sarebbe altrimenti rimasta la solita, novecentesca vita d'un uomo stravagante e dissociato. Ecco allora, ad esempio, una dichiarazione d'identità e ruolo: “Io sono un servo della brughiera, veneratore delle foglie, adoratore del vento! (E scambiai con me parole seccate, per la fatica di averlo sbabbuato)” e subito dopo osservazioni sulle esercitazioni sul campo dei ragazzi, e sui loro risultati scolastici. Ecco descrizioni miste di poesia e di limpida visività in poche battute, come fossero didascalie; ecco, come fossero disturbi su una frequenza di un programma radiofonico, le sofferenze e la frustrazione per la (r)esistenza al regime nazista, per la sua stupidità e per la sua violenza; e poi appunti, note strampalate sui più disparati argomenti, letterati inclusi – è come entrare in un cervello frenetico e scombinato, tra le onde degli alcolici e quelle della pazzia: fin quando non s'allinea un verso a un altro ancora, e si ritrova disciplina e letteratura. Adorabile.

Scritto tra dicembre 1952 e febbraio 1953, “[...] i fotogrammi che compongono il Fauno sono tessere strappate al degrado della memoria: in questo mosaico ontologico During ha la facies di Arno Schmidt, che presta al suo personaggio molti tratti della propria personalità: il culto delle scienze esatte e l'ateismo, l'acribia filologica, la critica del potere e quel pessimismo antropologico che vede nella storia la determinazione del male, in una teodicea negativa incarnata dal Leviatano, il principio che tutto divora e annichilisce”, spiega Domenico Pinto nell'introduzione. “Il nudo cranio mongolico della luna si spinse più vicino a me. (Le discussioni hanno solo questo di positivo: che in seguito vengono alla mente buone idee” (p. 15) scrive Schmidt, in questo passo esemplare. Ecco una descrizione lirica accostata a un'osservazione – parentetica – per assimilazione. Il lettore è inizialmente disorientato, ma presto s'addestra. L'esito è spiazzante e solare.

Trama. Siamo tra 1939 e 1944. L'impiegato During lavora, sognando una fuga da tutto – famiglia, regime nazista, macchina statale – dalle parti della Brughiera di Luneburgo. È un altro che va alla stazione, che siede in ufficio, libreggia e trampola nei boschi, scrive. La sua vita scorre senza nessun continuum. I suoi bambini sono degli estranei: sente stiano gli uni accanto agli altri come camerieri. Finalmente riceve un incarico che gli permette di vagabondare un po': proprio come i suoi pensieri. “Caldo al lavoro, e l'assenza ci passava tra i visi con mani morbide e vuote. Gli occhi sbadigliavano (è assolutamente troppo senza pausa!); le mani si stravaccavano sulle ufficiature; sotto le sedie erano infilate gambe di sbieco; la Kramer tirò una qualche chiusura lampo nel silenzio, batté via sul suo metronomo, goccia a goccia, sugli zoccoli delicati, nella foresta di polvere. (Pan dorme: questo lo ha coniato un impiegato di commercio, dopopranzo intorno alle 15)” (p. 88).

Pan dorme, e va sognando letteratura nuova. Schmidt trascrive correttamente il sogno. Grazie alla traduzione di Domenico Pinto, possiamo gioirne anche noi italiani. In appendice, note al testo: Pinto ringrazia Dieter Kuhn, principale fonte di informazioni per l'opera di Schmidt; quindi, passa a tutta una serie di osservazioni lessicali e storico-letterarie di grande interesse e notevole qualità. Ne deriva una percezione limpida d'una lingua joyciana, non estranea ai neologismi, ai calchi e alle citazioni letterarie; fondamentale per una adeguata percezione d'un testo altrimenti, e non di rado, indecifrabile. In un certo senso, Pinto ha risolto uno stupendo arcano. Che adesso galoppa per i nostri scaffali. Rumorosamente.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Arno Schmidt (Amburgo, 1914 – Celle, 1979), scrittore tedesco.

Arno Schmidt, “Dalla vita di un fauno”, Lavieri, Napoli 2006. A cura di Domenico Pinto. In appendice, note al testo, cronologia e bibliografia.

Prima edizione: “Aus dem Leben eines Fauns”, 1953.

Gianfranco Franchi, “Lankelot”. Gennaio 2009.