La guardia

La guardia Book Cover La guardia
Andrea Caterini
peQuod
2010
9788896506172

La leggenda di Tiberio Mitri, il campione che sfidò “Toro scatenato” Jake La Motta e morì vecchio, solo e dimenticato, travolto da un treno a Roma, non ispira, a dieci anni esatti dalla fine dei suoi giorni, soltanto documentari e biografie nostalgiche: il secondo romanzo del giovane letterato romano Andrea Caterini, “La guardia” (Italic Pequod, pp. 160, euro 14), si fonda sulla trasfigurazione della fine del vecchio pugile triestino per dare vita a un melodramma famigliare mai avvenuto. Caterini immagina un mondo in cui il figlio maschio del pugile, Alessandro, è sopravvissuto al padre: ma come il padre sembra predestinato a un epilogo sordido e oscuro. Lo scrittore capitolino, nella Nota in appendice, ha spiegato che «quella morte fece scendere Mitri dall'Olimpo della mia immaginazione al terreno della miseria umana. Quella vicenda però, la porto dentro fin da allora e sapevo che, in un modo o nell'altro, prima o poi si sarebbe espressa. Da qui è nato e si è nutrito nel tempo La guardia».

È il romanzo di Tiberio e Alessandro, che avevano smesso di parlarsi da un pezzo, e vivevano vite che più diverse non si può. Alessandro aveva passato l'infanzia e l'adolescenza intera a rincorrere suo padre. E questa rincorsa aveva avuto ragione di esistere perché all'epoca Tiberio «aveva solo voglia di dimenticare, di scomparire e lo riteneva d'ostacolo a quel suo sogno d'oblio». Tiberio voleva restare solo, voleva sprofondare nel niente. Forse proprio per questo s'era ammalato di quella malattia che sembra la malattia della dimenticanza: era come se a un tratto avesse preteso di dimenticarsi volontariamente tutto quanto. E se si trovava di fronte una sua foto da giovane, non si riconosceva. Quell'immagine non era più uno specchio. Soltanto la strada di casa riusciva sempre a trovarla, in un modo o nell'altro; e il suo corpo, ogni tanto, sembrava aver mantenuto una sua specifica memoria: era come una ritualità fisiologica che imitava più che altri sé stessa, scrive Caterini.

Alessandro intanto s'era costruito una sua «virulenta e illusoria stabilità». La notizia della morte del padre prende e disintegra quella corazza. Da un certo punto di vista, il grande pugile era morto molti anni prima di quel momento: ma vedere la verità nuda e cruda non poteva non essere uno choc per il figlio. Che comincia col rifiutare di riconoscerne il cadavere, rischiando così di farlo disperdere, post cremazione, nel nulla; e si ritrova, col passare del tempo, a sprofondare in una crisi esistenziale e sentimentale profondissima, che finisce per disintegrare tutto quel che aveva conquistato.

La tragedia del pugile che voleva l'oblio e del suo bambino non più bambino che voleva un padre è l'asse portante d'una narrazione sentimentale e ondivaga, in più d'un frangente irregolare: non solo stilisticamente, perché tutto a un tratto la scrittura implode in periodi abnormi, non pretenziosi ma semplicemente contorti o perifrastici, e solo lentamente ritorna all'apprezzabile quiete originaria, ma strutturalmente, perché le pieghe secondarie e oscure delle vite sentimentali dei due non convincono e non sembrano particolarmente riuscite e rappresentate. Invece, proprio come nella sua opera prima, Caterini dà il massimo quando torna a parlare dell'arte del pugilato e del combattimento: guadagna naturalezza (recupera naturalezza) e scrive passi interessanti come questo... «Ogni pugile è consapevole che la vita gli ha concesso un numero preciso di incontri; eppure ogni incontro anziché aggiungere qualcosa lo sottrae, prima di tutto ha un incontro in meno. Non esiste al mondo un pugile vincente – neppure le cinture più gloriose, quelle della farfalla e del toro, sono escluse da questa verità. Ogni atleta combatte per conoscere la sconfitta e la perdita. E ogni incontro è appunto nient'altro che sconfitta e perdita».

O come questo, più avanti. «Ogni pugile è più che mai consapevole che quell'arte realizzata con un talento tutto teso al sacrificio e al dolore, è l'esatto opposto della violenza. Come nella vita, quel quadrato inscena il mondo entro il quale la lotta per la conoscenza di sé e dell'altro vale la propria scommessa».

«L'uomo altro non conosce che ciò che ha già perduto», racconta il romanziere romano, classe 1981, nel suo libro. L'ossessione per il perduto padre trascina il figlio in una spirale morbosa e malata. L'epilogo non poteva non essere funebre.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Andrea Caterini (Roma, 1981), scrittore e critico letterario italiano. Ha esordito con “Il nuovo giorno” (Hacca, 2008). Ha curato il “Diario italiano 1997-2006” di Enzo Siciliano. Collabora con “Nuovi Argomenti”, “Stilos”, “Il Riformista”.

Andrea Caterini, “La guardia”, Italic Pequod, Ancona, 2010. Grafica di copertina di Giordiano Giunta.

Gianfranco Franchi, gennaio 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.