Marsilio
1999
9788831771962
“Perché è forse l’ingenuità una delle poche chiavi per entrare davvero” (“Cianografia di Shanghai”).
Immersione nelle sorgenti di Tirtagangga, antica piscina sacra balinese; episodio emblematico per aderire allo spirito dell’opera. Tirtagangga “doveva essere un tempo di una bellezza sconfinata, in quel paesaggio leggermente in pendio, davanti alla montagna folta di enormi alberi, da cui scende l’unico acquedotto. Uno di quei posti rari, da non reclamizzare, dove giungendo si potrebbe decidere di rimanere per sempre, anche da eremiti”. Adesso, le statue in pietra vulcanica sono state sostituite da statue di cemento. L’artista rimane a languire, un pomeriggio, in quei pressi, tormentato dalle attese e dalle mutazioni. In un certo senso, sembra echeggiare quel che Goethe scriveva di Roma, nel suo “Viaggio in Italia”, quando asseriva di voler vedere la Roma che restava, non quella che cambiava ogni cinquanta anni: pretendendo cioè di attingere alle sorgenti perfette e incontaminate dell’anima della città, di una cultura. E questo libro ospita racconti di attesa e di mutazione: l’attesa del viaggiatore, tinta di speranza e sogno e reminiscenze letterarie, e la mutazione della vita, in Cina o a Bali; da segnalare, poi, la felice scelta di un viaggio raccontato al contrario, ossia dalla prospettiva di un erudito cinese che cerca in Italia amore, freschezza e cultura: in altre parole, rigenerazione. C’è qualcosa di eccezionale in questo connubio di innocenza e corruzione; in queste pagine che rappresentano e sintetizzano la volontà e la disponibilità a comunicare tra culture differenti; nella presa diretta di certi dialoghi, fedeli alla crescente influenza dell’inglese, e non ingenerosi nel testimoniare i fenomeni dialettali.
Questa lingua spuria e atipica parlata da certi personaggi è un’ulteriore prova dell’avvenuta fusione di innocenza e corruzione; è lo specchio, o lo spettro, delle storie che andiamo leggendo: sono fontane che sgorgano l’acqua di sorgenti contaminate dall’incontro tra varie umanità e varie conoscenze.
“Tirtagangga e varie sorgenti”, come si accennava, è strutturato in cinque racconti: Cianografia di Shanghai, L’impero della tartaruga, Inverted color business, Specchio Tantra e l’eponimo Tirtagangga e varie sorgenti.
Prose immediatamente godibili: narrativa vivace e molto fluida, contraddistinta da uno stile seducente e da un tono eclettico, capace di variare dal distacco alla partecipazione più naturale e ingenua, al contrastato rifugio nella memoria. Il viaggio non lesina amarezze e stupori: è fedele al disordine di Bali, e alla curiosa sovrapposizione della cultura italiana con quella cinese; raccontata, come nel caso di “Inverted Color Business”, tramite la convergenza delle reciproche arruffate criminalità. Stile che sa essere corrosivo e sardonico: nella descrizione della vita dei diplomatici, come nel riflettere l’atmosfera del viaggio dei turisti italioti; nella fedele registrazione della contaminazione delle esotiche culture locali, e nel rammarico del distacco di chi torna.
Non è difficile individuare, ne “L’odore dell’India” di Pierpaolo Pasolini, i prodromi dello spirito di questo libro; come nell’opera dell’artista friulano, risulta spontaneo immaginare e ricostruire i personaggi, tratteggiati con gusto impressionista, e ricostruire la mappa delle strade e l’architettura dei palazzi; si ascolta il malinconico e primitivo lamento d’una umanità perduta, quel lamento che l’autore deve aver interiorizzato osservando la realtà: uomo occidentale che torna sui passi di altri occidentali, e vede quel che non avevano previsto accadesse; ossia che un popolo assorbisse conoscenza e abitudini e vezzi, e l’esito fosse non definito, ma contaminato; spurio, e incompiuto: umanissimo, fatiscenza e vizio e desiderio e innocenza. E, da “L’odore dell’India”, si va a concludere pensando al popolo dei letterati viaggiatori. Che vivono l’esperienza originaria, e hanno il dono della percezione differita. Rapiscono immagini e parole, e le trasformano in pagina d’arte. Chatwin, ecco: perché nei suoi romanzi non si racconta il viaggio attraverso la descrizione minuta e pedante degli spostamenti, non si avvertono rapimenti estatici o integralismi xenofili, ma si narra l’esperienza negli occhi e dagli occhi di chi si incontra, e attraverso la ricerca delle analogie con la propria cultura; delle aporie della propria formazione, e dei conflitti tra l’idea e la realtà: è antropologia letteraria, e ha il respiro di un’arte che cristallizza il tempo e consente alle generazioni posteriori di incontrare una società e un popolo e un’epoca perdute, immortalate in un momento di mutazione “immutabile”.
Grazie alla disponibilità dello scrittore, possiamo avviare, con questa recensione, un esperimento nuovo per lankelot.com: ossia, andiamo ad integrare le nostre impressioni e le nostre suggestioni con quelle dell’artista. Intellettualmente mi sembra quanto di più onesto e corretto si possa assicurare al lettore: e cioè non più e non solo un pleonastico impatto con l’interpretazione del critico, ma un incontro virtuale, ed esclusivo, con l’artista.
G.F. “Leggendo i cinque racconti di ‘Tirtagangga e varie sorgenti’, si assiste ad uno spaccato di innocenza, contaminazione e corruzione al contempo. Crede sia un'interpretazione corretta dello spirito del suo libro?"
L.T. “Sì. Per definizione il viaggiatore deve comunque essere molto accorto e vigile, affrontare (o saper evitare) i molti pericoli, di vario genere. È quindi sua inclinazione perdere almeno ‘l’ingenuità’, che risulta inversamente proporzionale all’esperienza. L’ ‘Innocenza’ mi pare un dono troppo raro, una sublime categoria quasi comissiana, e non aspiro a tanto. Contaminazione e corruzione sono occasioni con cui ci si scontra dovunque e tanto più durante il ‘viaggio’. Credo che l’interpretazione sia corretta, precisando che sotto narrazione e registrazione di eventi, con eventuali sarcasmi, non deve mancare mai identità culturale e fermezza etica dell’autore. L’Asia, mia seconda patria, è frastornante, ne ho sempre subìto (specialmente dopo i quattro viaggi americani) l’antico prestigio culturale, l’eccezionale fascino, anche delle splendide liturgie, delle disordinate folle oclofobiche, della natura straripante. L'Asia come incantamento, ma anche come trista accettazione del provvisorio e del relativo, del riconfluire nel ‘fiume della vita’ e della sua misteriosa angosciante inutilità, che ci pone di fronte ai teleologici interrogativi. I significati veri mi sfuggono: per il momento mi accontento di riferire brandelli di significante dorato e solare, tacendo sempre più a stento le altre orribili dimensioni dell’umano in cui ci si imbatte viaggiando (questo però è sempre successo, anche quando l’informazione non giungeva e la penicillina non salvava milioni di neonati). Il viaggiatore può restare innocente, ma se vuole sopravvivere non può evitare l’involontariato del cinismo per quanto compassionevole”.
G.F. “Nella ‘Cianografia di Shangai’, primo dei cinque racconti, scrive: 'Perché è forse l'ingenuità una delle poche chiavi per entrare davvero'. Quanto questo frammento corrisponde allo spirito del viaggiatore, suo alter ego, o allo spirito ideale per accostarsi alle culture orientali, oggi?”
L.T. “Corrisponde in pieno, come ho detto, allo spirito del viaggiatore. Molto diverso considero l’approccio culturale, che presuppone conoscenza e approfondimento, specie nei confronti delle religioni (le quali, non bisogna mai dimenticarlo, sono nate tutte in Asia). Ho grande considerazione per quelle culture, simpatia per l’Induismo balinese e per il Buddismo (forse sono influenzato dallo splendore delle manifestazioni esteriori), ma non dimentico mai di essere cattolico ed europeo. Quindi non condivido affatto l’atteggiamento di tanti giovani europei, battezzati e cresimati, che con eccessiva leggerezza abbracciano altre religioni abbandonando la propria, forse facilitati da una considerevole ignoranza. Mentre ho un enorme rispetto per quelli che, cresciuti in ambienti atei, si avvicinano con autenticità del cuore a una religione. In definitiva credo di condividere a sufficienza l’aforisma di un famoso filosofo (di cui mi sfugge il nome): solo i cretini si convertono”.
G.F. “Spesso, nei cinque racconti, l'accostamento tra i due mondi - sia perdonata la semplificazione - e tra le due culture, è scandito da richiami e citazioni di un marchio o di un logo occidentale. È forse una provocazione, o addirittura un'anticipazione delle istanze della Klein?”
L.T. “Non so rispondere. Ma più probabilmente è una provocazione, e dipende anche dalle vicende narrate, visto che i protagonisti sono tutti italiani che lavorano in Asia (escluso un cinese, che però insegna italiano all’Università di Shanghai)”.
G.F. “L'ironia che si respira nel libro vuole significare disincanto o vuole alleggerire passi dei racconti altrimenti dolorosi?”
L.T. “L’ironia è per definizione una figura antifrastica; ammicca al lettore, gli fa capire che lo tiene in gran conto. Certamente è anche disincanto, coscienza dell’immutabile millenarismo, specie per quanto riguarda le turbe asiatiche. Ma l’acuta domanda allude al ‘maggior corno’ del dilemma: alleggerire l’aculeo altrui; e anche, perché no, terapeuticamente il proprio, perché il narrante non è esente da piaghe, come del resto hanno già asserito illustrissimi viaggiatori (e viaggiatrici) del passato, quando hanno definito il viaggio ‘il più triste dei piaceri’ ”.
G.F. “Ritiene che esista un lettore ideale per questi suoi racconti? Quanto pesa il timore d'essere fraintesi?”
L.T. “No, non credo. Preciso che l’edizione è in via d’esaurimento; se ne deduce che lettori ne ha avuti. Qualcuno mi ha fatto osservare che ci sono alcune ‘parole difficili’. Un’amica hostess non ha gradito che nel libro le sue colleghe siano state definite ‘colf celesti’. Ma il contesto è assolutamente affettuoso, e in più collegato al profumino del cibo che stanno recando ai passeggeri. E poi l’aggettivo involontariamente le divinizza, tradendo l’ammirazione che ho per quegli stupendi inespugnabili oggetti del desiderio. In realtà le parole inusuali sono poche e rientrano nel contesto ironico. L’essere fraintesi è invece un pericolo reale, ma bisogna correrlo, avere fiducia dell’onestà del lettore, come del resto ci consiglia Umberto Eco nei suoi intriganti ‘Boschi narrativi’ ”.
G.F. “Ad un tratto, nel racconto ‘L'impero della tartaruga’, si incontrano versi d'una poesia del protagonista, Wang. Considerando la sua produzione poetica, possiamo ritenerlo l'annuncio di un prosimetro prossimo ad apparire nelle sue opere oppure dobbiamo recepirlo come una semplice coincidenza?”
L.T. “I versi attribuiti a Wang sono tenuti volutamente a un livello piuttosto banale. Mi sono prefisso di non scrivere poesia vegetale, come amano i cinesi. È comunque di prossima pubblicazione un mio volume di poesie cui sto lavorando con impegno”.
G.F. “Avviene raramente, e proprio per questo è più apprezzabile, che un autore ammetta e riveli le sue affinità elettive. Confidiamo nella sua onestà intellettuale: quali artisti riconosce come suoi antecedenti, o quali sente più vicini alla sua narrativa?”
L.T. “Antecedenti? Non saprei, ma la linea (d'ombra, nonostante di Conrad mi piaccia soprattutto Tifone e il resto lo trovi molto difficile e pesante da leggere) tende ad essere quella di Comisso in Cina e Giappone, Gozzano a Sri Lanka, Barzini nel Gobi, di Arbasino e Manganelli dei vari Mekong, Transpacific express ed Esperimento con l’India; Hesse in Indonesia e Pasolini viaggiatore, più che Moravia suo compagno dello stesso viaggio o i ‘cannibali’ nostrani. Ormai però, anche per motivi diacronici, sono riuscito a prendere le distanze dai Maestri, ho esaurito tutte le lune di miele; posso soprattutto sezionarli, continuando ad amarli”.
G.F. “Il panorama letterario contemporaneo italiano sembra privo di movimenti artistici di riferimento o di personalità carismatiche e trascinanti. Rimpianti, speranze, auspici e osservazioni di uno scrittore”.
L.T. “Condivido in pieno; pare che il riflusso iniziato subito dopo il joli mai del ’68 non sia ancora stato spazzato via del tutto. Mancano idee. Perfino l’onnipotente neoavanguardia, ora decotta ma sempre ben insediata, ha subito rivisitazioni e, in sede di digestum, un cospicuo ridimensionamento anche nelle antologie scolastiche. Bisognerebbe continuare a leggere rispettosamente, imparare ad imparare sempre (oltre che a insegnare)”.
G.F. “Quali sono i suoi futuri progetti letterari? Sta attingendo ad altre sorgenti per creare nuova letteratura?”
L.T. “Sto studiando la storia della mia amata regione, il Veneto, che nella seconda metà del secolo scorso ha vissuto una colossale mutazione, passando dall’emigrazione all’opulenza, a volte un po’ miope, del Nordest. Vorrei trarne un romanzo che ne fosse narrazione, ma anche metafora. Credo di essere a buon punto”.
G.F. “Concluda con un saluto ai lettori di Tirtagangga”.
L.T. “Mi piacerebbe invitare tutti i miei lettori a Tirtagangga, mitico sito nell’est dell’Isola di Bali. Il toponimo significa doppiamente sorgente (= Tirta, e Gangga come Gange) È un luogo sacro, l’acqua purissima scende da un acquedotto costruito dall’ultimo rajà, e attraverso fontane forma vari specchi e piscine. Di giorno non c’è nessuno. Soltanto ninfette ctonie si bagnano accudendo i fratellini schiamazzanti, sotto l’occhio calmo delle giovani madri. I turisti, in prevalenza maleducati, giungono nel tardo pomeriggio, alla fine del giro. Si fermano una mezzora. Invece bisognerebbe stare a lungo. Le modeste (e costose) locande, gli sguarniti ristorantini non invogliano certo. In fin dei conti aiutano a proteggere dagli incivili questo luogo misterioso, silenzioso, riservato a pochi”.
“Se al centro ci fosse stata una vera da pozzo la si sarebbe potuta confondere con un campiello di Chioggia o Burano; e infatti tutti i dintorni di Shanghai sono paesini lagunari, attraversati da una discreta ragnatela di canali, pieni di antichi ponti di pietra, col vano dell’arcata circolare quasi come quelli veneziani. Era proprio un quartiere elegante di campielli e sottoportici che lo mise in sintonia colle due città e gli richiamò il conterraneo Marco Polo (il quale afferma che la vicina Sou Zho, la Chioggia cinese, aveva seimila ponti). Anche qui, negli angoli in ombra non battuti, tra le pietre cresceva un po’ di erba interstiziale. A un veneto non sfuggì un simile millenario particolare” (tratto da “Cianografia di Shangai”)
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Luciano Troisio (Monfalcone, 1938-Padova, 2018), poeta, giornalista e narratore italiano contemporaneo. Ricercatore nel Dipartimento di Italianistica dell’Università di Padova, insegna Letteratura Italiana Contemporanea. È stato docente nelle Università di Pechino, Shangai, Bratislava e Lubiana.
Luciano Troisio, “Tirtagangga e varie sorgenti”, Marsilio, Venezia, 1999.
Gianfranco Franchi, aprile 2003.
Prima pubblicazione: Lankelot.