Zandonai
2011
9788895538624
Ardian-Christian Kyçyku è uno scrittore balcanico, classe 1969, perfettamente bilingue: albanese, per sangue e per formazione culturale, e rumeno, per adozione culturale, estetica e politica. Non è l'unico scrittore albanese a incarnare questa commistione: sembra sia una sorta di tradizione albanese, quella di scrivere bella letteratura dopo aver vissuto un periodo in Romania, nutrendosi del respiro di quel popolo, e vampirizzando i loro artisti. Kyçyku, in un recente e ricco scambio di battute con la stampa italiana, ha parlato di una “lunga e consolidata tradizione”, in questo senso. Interessante.
Scopriamo la sua narrativa grazie all'edizione Zandonai del suo “Lumenjtë e Saharasë”, originariamente apparso nel 1999. “I fiumi del Sahara” è un quaderno di narrativa esistenziale, sentimentale e onirica: non estraneo a un seducente e lirico disordine espositivo, è il libro del ritorno a casa, in provincia, di un oscuro intellettuale che sembrava aver dimenticato tutto del suo passato – mentre in realtà era rimasto perfettamente uncinato ad esso. La traduzione dall'albanese di Kamela Guza mantiene, mi piace immaginare, la freschezza d'una lingua che non conosciamo affatto, e forse nemmeno abbiamo sentito parlare mai, qui in Italia. Kyçyku ha dichiarato, in una bella intervista rilasciata a Marjola Rukaj di “Osservatorio Balcani & Caucaso”, che “entrambe le mie lingue sono estremamente ricche, ma si prestano meglio a tipi diversi di soggetti. Il romeno per esempio ha un umorismo molto disinvolto, mentre l'albanese è una lingua più solenne - il romeno esprime meglio il grottesco, mentre l'albanese si presta meglio al sarcasmo - per cui è il libro a scegliere la lingua. È difficile scrivere lo stesso libro in entrambe le lingue”. In questo caso il sarcasmo va a tingere di grottesco, e puntinare di irrealtà, la narrazione di qualcosa di altrimenti sin troppo vivido e comprensibile: vale a dire il quadro della sofferenza e dell'alienazione di un uomo troppo sensibile in un contesto che non è in grado di comprendere la sua sensibilità: se non nel miracolo d'un amore. L'alienazione, come forse è prevedibile, diventa allucinazione.
Il narratore dei “Fiumi del Sahara” è uno scrittore. Come ogni scrittore, è uno spostato. Almeno: è abbastanza spostato da esserne cosciente e non abbastanza da essersi curato. Il narratore, naturalmente, è anche un lettore. Come una minoranza assoluta di lettori sa, il vero lettore forte è pieno di pentimenti – o almeno: a un tratto, nella sua vita, si riempie di sensi di colpa. Perché? “La prima ragione, e anche la più importante, è che il tempo sprecato a leggere avrei potuto impiegarlo facendo cose di maggior valore, più legate alla vita vera. La seconda ragione, ugualmente importante: ho prestato la mia anima a così tanti personaggi che ora non c'è dio al mondo che possa darmi indietro l'armonia perduta” [p. 105]. Niente. Forse è colpa delle troppe letture. Forse c'è qualcosa di diverso. Le letture eccessive non aiutano, non ci piove.
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Dicevamo. “I fiumi del Sahara” è la trasfigurazione dell'irrisolto rapporto con le proprie origini: la storia di un uomo che torna in riva al lago della sua madrepatria e non fatica a riconoscere che poco è cambiato, che sembra tutto sia rimasto cristallizzato in una lentezza soffocante, oppressiva. Che niente sia stato in grado di diventare bello: così... “Davanti al cinema incontrai un amico d'infanzia. Era diventato grasso, la barba lunga, forse la malattia degli intellettuali delle piccole città, sempre messi da parte, sempre incompresi. Con i suoi strati di adipe in vista era come se si fosse affrettato a soffocare le fantasie e le diavolerie dell'infanzia. Un uomo senza splendore. Si sa quanto possano essere spiacevoli queste vecchie conoscenze, gli amici cambiati, che non vedi da tempo ma all'improvviso ti spuntano davanti in una giornata colma di nostalgia, spruzzando intorno a sé lo zolfo velenoso della quotidianità” [p. 8]. E va da sé che sulle prime fanno finta di non riconoscersi. Dura poco.
O così.... “Mi disse che si sentiva molto più serena dopo aver finalmente incontrato una persona conosciuta, un amico. Mi irritò il fatto di essere stato trasformato in un numero qualsiasi. Le dissi che provavo anch'io la stessa serenità, soprattutto perché ero venuto qui per cambiare aria […]. Mi bacchettò con una certa severità per il modo in cui parlavo della vita. Non dissi nulla, tanto che importa” [p. 18].
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Nell'introduzione, Elvira Dones conclude e giudica: quella del narratore dovrebbe essere una vita breve, ma “un pezzo di terreno smotta, i binari del treno – l'unica via di fuga – diventano inagibili. Nel frattempo scende la neve, che tutto copre... Kyçyku scrisse questo libro giovanissimo e ancora sconosciuto. Gli riuscì una piccola perla, colma di un arcano erotismo di ambienti e luoghi, di amori divoranti e attese snervanti”. Con un retrogusto acerbo, aggiungerei: ma non per questo respingente.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Ardian-Christian Kyçyku (Pogradec, Albania, 1969), scrittore e giornalista albanese-rumeno. Vive a Bucarest, da vent'anni. Insegna Scienze della comunicazione. Ha studiato Storia e Filologia all’Università statale di Tirana.
Ardian-Christian Kyçyku, “I fiumi del Sahara”, Zandonai, Rovereto, 2011. Traduzione dall'albanese di Kamela Guza. Presentazione di Elvira Dones.
Prima edizione: “Lumenjtë e Saharasë”, 1999.
Gianfranco Franchi, aprile 2011.
Prima pubblicazione: Lankelot.