Fanucci
2006
9788834712023
La boxe (clandestina) come paradigma di uno scontro etnico, di un irrisolto antagonismo razziale e dell'insensata violenza della società americana del primo Novecento: intanto, un'invisibile e furibonda mano divina sta per lavare via un'intera cittadina, allora assimilata a New York per ricchezza e benessere. Risorgerà, ma senza tornare agli antichi splendori. "L'anno dell'uragano", piccolo capolavoro di sintesi tra thriller e romanzo allegorico, è senza ombra di dubbio una delle migliori opere di Lansdale: lettura consigliata a tutti, senza eccezione, perché sia monito della caducità di tutto, e della stupidità e della superabilità dell'odio razziale. Se a questo s'aggiunge che la trama è avvincente e coinvolgente e la scrittura decisamente fluida e di chiaro impatto, il quadro si completa. Un giorno qualcuno girerà un grande film tratto da questo libro: sarà una pellicola memorabile. Ma questa è una previsione facile.
Galveston, un'isola del Texas, settembre 1900. Il cielo è verde come il panno di un tavolo da biliardo: diventerà color cancrena. La marea sale, sale nera come un forno. Fa caldo: è “un pomeriggio più caldo di due ratti che trombano in un calzino di lana” (p. 21). L'isola sta per sparire tra le onde, la città sta per essere devastata: è in arrivo un uragano furioso. Nessuno vuole accorgersene: nessuno ha voglia di dare peso alla questione. Galveston ha già fronteggiato uragani micidiali, sembra invincibile. E stavolta quella di Lansdale non è fiction. È storia. La tragedia è realmente accaduta. Lansdale racconta che la tempesta colpì così forte che “rase al suolo interi palazzi, portò via con sé numerose persone, ricoprendo tutto d'acqua, fango e detriti. Non c'era mai stato niente di simile, prima di allora. E Galveston, che all'epoca gareggiava con New York per il titolo di città più bella d'America, fu ridotta a un cumulo di macerie e corpi rigonfi” (p. 8). Se questa sinistra storia vi ha affascinato, approfonditela qui (wiki en). Consolatevi pensando che Galveston è tornata a vivere, come vi accennavo in apertura, pur senza recuperare l'antica grandezza.
Torniamo al romanzo. Jim McBride da Chicago, 30 anni, 1.85, fisico e carattere da cinghiale selvatico, sbarca – pistola sotto la giacca, un rasoio in tasca – nell'isola. È un pugile. Deve pestare un nero. 300 dollari prima di salire sul ring. 200 se vince. 500 se lo ammazza. Il nero, Arthur John Johnson, ha massacrato il campione bianco della città, Forrest. Lo Sporting Club della città ha ingaggiato chi poteva fare giustizia, sul ring. Uno che ha ucciso l'ultimo sfidante. Il match sarà clandestino. Per prepararsi, McBride si scopa una rossa e una maitresse di un bordello, e pesta uno scaricatore di porto, perché ha bisogno di uno sparring partner. La cosa più incredibile è come lo provoca: scorciatoia, dargli del frocio e del frocio per i negri. Subito s'innesca la scazzottata.
Forrest, il campione bianco sconfitto da Arthur Johnson, era uno scaricatore di porto. Mister Beems, il capo dello Sporting Club, sposato per sbaglio, s'era accorto di lui e ne aveva fatto un atleta. Un atleta che doveva punirlo tutte le volte che voleva, sodomizzandolo. Forrest si sfogava prendendogli la moglie, tanto Beems non se ne accorgeva mai. Beems voleva farsi possedere ripetendo di non essere una checca. E intanto, steso a pancia in giù, pensava agli altri pugili. A McBride, ad Arthur. A come sarebbe stato stare con loro.
Arthur vive nei Flats, la “Città dei Negri”. È figlio di un ex schiavo, reduce di guerra (“lui, un uomo di colore, là fuori a sparare agli yankee, perché altrimenti quelli gli sparano, e i sudisti gli sparano se non spara agli yankee”, ricorda la madre). Ha imparato sin da bambino a difendersi dai bulli, e a darle di santa ragione. Sogna di diventare campione del mondo. Da poco, in neanche tre round ha steso l'uomo più forte di Galveston, diventando il campione dell'esclusivo Club dei bianchi. Forrest passa a cercarlo per avvertirlo: McBride è un assassino, lo scontro sarà feroce. Scappa, dice il pugile bianco. Arthur non ci casca. È uno che vuole cambiare il mondo. Che non ne può più delle prevaricazioni dei bianchi. Che vuole entrare in società dalla loro stessa porta.
Intanto c'è Jane che cerca di resistere al suo moroso, Jared, un avventuriero che da un mese aspetta che lei si conceda. Ha diciotto anni e sogna un grande amore, letterario e romantico. Una notte si lascia prendere. Il giorno dopo Jared taglia la corda. Jane vuole gridare al mondo il suo dolore e si mette sulla spiaggia, di notte, proprio mentre si sta avvicinando l'uragano. Forse non vuole morire, almeno non così. Vuole dare una prova della sua nostalgia, vuole che Jared sappia e decida di tornare indietro. La morte non ne ha pietà.
L'uragano minaccia la città, ma gli scommettitori non si tirano indietro e non scappano mica. Assiepati sui gradini del palazzo, accolgono McBride, pronto a combattere contro il nero, guardando preoccupati verso il mare. McBride pesta il boss, negli spogliatoi, perché ha capito dove vuole andare a parare. Intanto, sugli spalti, il pubblico si prepara cantando “I neri son tutti uguali” e “Ammazza il negro”. Arthur si scalda. Quei cori gli danno più convinzione.
Il match è mozzafiato. McBride è tecnica e potenza, Arthur – diventato “Jack” - Johnson è coraggio ed energia pura. Lo scontro è sostanzialmente alla pari, e proprio quando sembra poter prendere una piega definitiva, simbolicamente l'uragano spazza via lo Sporting Club e buona parte del pubblico. A questo punto c'è un magistrale e doloroso stacco. Ritroviamo il pugile bianco e il pugile nero miracolosamente sopravvissuti al match e all'uragano, decisi a scontrarsi ancora tra le macerie della cittadina. E proprio in quel momento, s'accorgono di un bambino sopravvissuto, il polso inchiodato a un palo. I due, per puro istinto, o forse per dare un segno di cambiamento a quella triste società, si impegnano in un commovente recupero del marmocchio. Diventerà un texano forte e deciso, capace di sopravvivere a tutto. Un cittadino della nuova Galveston, nata nel sangue del razzismo e del classismo, lavata dalla divina punizione dell'uragano, sognando un tempo nuovo, una rigenerazione. Bellissimo, un esito bellissimo e inatteso. È Jack, il campione nero, a portare in salvo il bambino, mentre McBride, il campione bianco d'una società presto sconfitta, si redime sparendo nel nulla, tra le macerie – le macerie del suo tempo, e di quel Texas assassino.
**
Secondo Valerio Evangelisti, questa prosa è l'espressione di una “efficacia dirompente raggiunta attraverso una straordinaria economia di mezzi (qualsiasi infiorettatura stilistica è rigorosamente bandita); attribuzione di psicologie precise, e talora complesse, anche ai comprimari; assenza di svolte prevedibili nei dialoghi o nella trama; attenzione ai colori, alle atmosfere e a tutti quegli elementi che il lettore medio percepisce senza rilevarli (…) e una dose di suspence altissima” (p. 175). Ricevuto? Consigliatissimo.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Joe R. Lansdale (Gladewater, 1951), scrittore e sceneggiatore americano. Ha esordito pubblicando “Act of Love” nel 1980.
Joe R. Lansdale, “L'anno dell'uragano”, Fanucci, Roma, 2007.
Traduzione di Umberto Rossi. Nota – in esclusiva per i lettori italiani – di Joe R. Lansdale. Postfazione di Valerio Evangelisti. Collana TIF Extra.
Prima edizione: “The Big Blow”, 2000.
Gianfranco Franchi, aprile 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.