Piano B edizioni
2010
9788890320583
Undici sassate di Mark Twain: “Libertà di stampa” (Piano B Edizioni, 2010) è un'antologia di scritti dedicati alla libertà d'espressione, all'ingiusta popolarità dell'opinione pubblica, alla demistifazione del mito degli eroi di guerra, alla demolizione della propaganda bellica, al culto del sempre più difficile libero pensiero. Incipit è “Il privilegio dei morti: sulla libertà d'espressione” (“Privilege of the Grave”, 1905), apparso postumo sul New Yorker. Twain ribadisce che i morti – unici tra tutti gli esseri umani – hanno libertà di parola; è il loro unico monopolio. I viventi possiedono questo diritto quasi come fosse una formalità. La libertà di parola viene sempre punita dai popoli civili, perché viene considerata un crimine dall'opinione pubblica. Cos'è l'opinione pubblica? Un'abitudine. Non merita rispetto. La verità dorme nei nostri cuori, per stanchezza o per opportunismo.
Ecco “Libertà di stampa” (“License of the Press”, apparso sempre postumo nel 1923). Twain sostiene che l'opinione pubblica si sia abbassata al livello della stampa; e che addirittura i principi morali decadano a seconda del numero dei giornali in circolazione. Rimarca, con disprezzo, quanto sia facile per la stampa “creare o macchiare la reputazione di qualsiasi uomo”, per via della sua perfetta libertà di chiamare “truffatore e ladro il miglior uomo della nazione, distruggendolo oltre ogni speranza” (p. 15). Il paradosso è che denunciare per diffamazione un giornale può essere un incentivo alla reiterazione della menzogna: tutti gli altri giornali dovrebbero pubblicare la stessa notizia falsa e sbagliata, per poi confutarla. Morale della favola: la libertà di stampa è una “maledizione nazionale”. La politica non può correggerla, almeno non quella americana. Perché? Perché i membri del Senato sono “incapaci di capire la differenza tra il crimine, la legge e la dignità degli individui, per quanto sono moralmente ciechi” (p. 13).
Il terzo pezzo è “Un candidato governatore” (“Running for Governon”, 1870), satira di quanto accaduto quando Twain voleva candidarsi come Governatore: la sintesi delle orrende, fantasiose e straordinarie campagne di diffamazione di vari quotidiani statunitensi dell'epoca, e dell'incredulità e dell'incapacità di rispondere dell'autore, tanto era spiazzato dalle menzogne, confermano quanto asseriva in “License of the Press”: questa libertà di stampa è una maledizione.
Quarto è “Pregare in tempo di guerra” (“The War Prayer”, 1905), scritto nei giorni della guerra filippino-americana, respinto dall'editore perché “non adatto”, pubblicato postumo nel 1923. Si tratta di una pesante satira della propaganda bellica: Twain vuole ricordare (e insegnare) ai suoi compatrioti che tutte le volte che domandano a Dio protezione per i loro figli mandati al fronte, o per l'esercito schierato in prima linea, allora stanno chiedendo allo stesso Dio anche violenza, sangue e sterminio del nemico, umiliazione d'un altro popolo, massacro dell'umanità; figli orfani e mogli vedove. Non stupisce che sia rimasto inedito.
Quinto è “Giornalismo nel Tennessee” (“Journalism in Tennessee”, 1871 circa), divertente rivelazione delle strategie e delle tecniche di interpolazione (manipolazione) dei pezzi in un quotidiano del Sud degli States, e di quanto possa essere “movimentato” farne parte. Sesto, “Come diressi un giornale per agricoltori” (“How I edited an Agricultural Paper”, 1870 circa) è il raccontino del prevedibile epilogo di quelli che finiscono, per campare, a scrivere di cose che non conoscono affatto: “Poeti falliti, autori di romanzi dalle copertine ingiallite dal tempo, drammaturghi scandalistici, pettegolari. Alla fine capitombolate sull'agricoltura nel temporaneo sforzo di frenare la caduta in un ospizio” (p. 57), sperando – facendo casino – di fare andare bene i giornali. Non è detto che sia proprio così.
Settimo è “In difesa del generale Funston” (“A Defence of General Funston”, 1902), altra riuscita scrittura nata per ridicolizzare la propaganda bellica della guerra ispano-americana e filippino-americana, e per deprecare la condotta di questo ufficiale, famoso come torturatore e come spietato massacratore. Il gioco della comparazione tra i suoi principi e quelli di Washington è sinceramente indovinato.
Ottavo è “A proposito di patriottismo” (“As Regards Patriotism”, 1905 circa) Twain ribadisce che il patriottismo viene confezionato dalla stampa e dai politici, generazione dopo generazione, in tempi molto brevi. Questa è la morale della favola: “Non c'è nulla che l'addestramento non possa fare. Nulla è al di sopra o al di sotto della sua portata. Può trasformare i cattivi principi in buoni, e i buoni in cattivi; può annientare ogni principio, e poi ricrearlo; può abbassare gli angeli al livello dell'uomo ed elevare gli uomini ad angeli. E può realizzare uno qualunque di questi miracoli in un solo anno, e anche in sei mesi” (p. 86). Nono pezzo è “Il mio ex impiego di segretario di un senatore (“My Late Senatorial Secretaryship”, 1867), breve racconto epistolare che sintetizza due mesi di delirante e stravagante attività da portaborse ante litteram dell'ingovernabile Mark Twain.
Decimo, “Fortuna” (“Luck”, 1886): storia di un eroe di guerra grazie a tutta una serie di clamorosi colpi di fortuna. In realtà è un idiota assoluto, e deve ogni medaglia a qualche grottesco rovescio della sorte. Siamo sempre dalle parti dell'antimilitarismo più spiccio e immediato, senza nessuna diversa velleità.
Penultimo, “Avviso alla gioventù” (“Advice to Youth”, 1882). Si tratta di consigli divertenti e intelligenti alla nuova generazione: evitate la violenza, svegliatevi presto la mattina, obbedite ai vostri genitori, portate rispetto al prossimo, non mentite senza addestramento: se proprio dovete mentire, mentite per bene. “Una bugia detta bene è immortale”. Tutto questo costituirà un carattere simile a quello del prossimo, “amabilmente e aggressivamente”.
Infine, “Opinioni di granturco” (“Corn-pone Opinions”, postumo) racconta un'amicizia d'infanzia di Twain. Era ammirato da questo ragazzo di colore – mezzo filosofo – che giurava che nessun uomo fosse indipendente, e che nessuno poteva permettersi di avere idee che compromettessero il modo in cui si guadagnava il pane. Da questo ricordo, derivano e discendono nuovi strali rivolti alla genesi dell'odiata “opinione pubblica”, alla sua falsità e al suo relativo opportunismo.
L'edizione è pop e accattivante: peccato sia del tutto priva di indicazioni relative alla prima pubblicazione degli articoli o dei racconti, e che non sia stato dichiarato il nome del curatore. In un certo senso, mi è sembrato di rileggere una vecchia Stampa Alternativa del maestro Baraghini. Ma con qualche negligenza di troppo, dal punto di vista filologico ed editoriale. Peccato – ma viva Twain, e buona fortuna a Piano B. L'oscuro ideatore di questo libro ha buon gusto, buonsenso e intelligenza sottile.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Samuel Langhorne Clemens, alias Mark Twain (Florida, Missouri 1835 – Redding, Connecticut 1910), scrittore americano. Fu pilota di battelli a vapore, cercatore d'oro, giornalista e conferenziere; editore, e sfortunato padre di famiglia.
Mark Twain, “Libertà di stampa”, Piano B Edizioni, Prato 2010. Traduzioni di Robyn Dale, Alessandro Miliotti, Andrea Guarducci.
Gianfranco Franchi, gennaio 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.