Il Maestrale
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9788889801468
Opera prima di Flavio Soriga, narratore sardo classe 1975, “Diavoli di Nuraiò” è una raccolta di tredici racconti ambientati in un piccolo paese immaginario dell'isola, non distante da Cagliari. Sant'Isidoro protegge i campi e le case. Là tutti sono contadini; non sanno usare il coltello come ad Orune o ad Arzana. C'è qualche bruscia (strega: forse dallo spagnolo “bruja”?) e molta diffidenza nei confronti degli stranieri. Malinconia per chi è dovuto emigrare per poter trovare pace, e nostalgia di qualche amore smarrito. C'è un'umanità solare e temprata ai sacrifici e agli sforzi, degna d'essere cantata e interpretata con grazia e dolcezza. Soriga riesce nell'impresa.
Prima storia. Gabriele Pintus, pizzaiolo ex bandito per le strade d'Europa, un tempo ventenne assatanato della vita che non dormiva una settimana nello stesso posto, senza un fiorino in tasca e “magro e misterioso come un cristo incazzato” (p. 14), racconta memorie frenetiche delle sue esperienze (spaccio, pestaggi, furtarelli, violenza, amorazzi) sino alla tragedia che lo costrinse a fuggire, “diavolo senza pace che corre senza arrivare”, e a ritornare indietro. A vivere, piccolo borghese, guidando una Uno blu, sornione e discreto padre di famiglia. Come niente fosse: come niente fosse stato.
Seconda storia. Un cavallo senza fantino ogni notte corre accanto a quello del protagonista: è il sogno d'una vittoria nel Palio per una contrada che perde da anni. Un sogno che un tempo s'è realizzato: confina con una memoria irremovibile, d'una perduta momentanea toscana gloria: “sarei dovuto morire quel pomeriggio in cui non ero più il sardo, il paesano, l'isolano, il piccoletto, l'ignorante ma solo Vinazzo re di Siena, nobile fantino principe dei cavalli furbo gentile dongiovanni, orgoglio della contrada, occhi veloci e riso sprezzante (...)” (p. 29). Il protagonista, tornato nell'isola, s'è ritrovato sotto il fuoco dell'invidia e della gelosia: per la gelosia del moroso d'una sua vecchia fiamma, è stato accoltellato. Come il cavallo senza fantino, sconfitto, gamba spezzata, adesso riposa in una stanza d'ospedale.
Terza storia. Contadino alla stazione: sono gli anni del fascismo. Il popolo vuole salutare Tripoli italiana, e omaggiare il duce. Il protagonista s'oppone al cielo disfattista, sogna che il clima cambi per volontà di Mussolini: e intanto, si prende gioco dei disfattisti che disprezzano le imprese del regime. Racconto avvolto da un'irrisolta aura grottesca. Si delinea meglio un passo più avanti.
Quarta storia. Incontro con le camicie nere: le prime a presentarsi sono “pescatori e accoltellatori e venditori di vino e figli di nuoesi senza orto né gregge, era gente con le palle” (p. 44). Un ragazzo, orfano, s'è messo in testa d'unirsi ai camerati: la madre si oppone, perché la politica è una cosa per ricchi e figli di commercianti, e tuttavia c'è poco da fare. La prima bravata, un'impresa all'olio di ricino, sembra garantire un lavoro (secondino a Cagliari). La coscienza rimane sporca: il narratore, vecchio, si ritrova a sbraitare contro i fascisti. Succede.
Quinta storia. Vincenzo Mallus era uno che si faceva rispettare, al paese. Guardava torvo, beveva senza collassare, era pieno di donne. Poi era finito incasinato tra risse e spaccio. Racconta la sua storia dal carcere, e in carcere sembra stia impazzendo. Questo è quanto.
Sesta storia. È la triste vicenda di un ragazzo che viveva troppo intensamente, senza negarsi nessun vizio, e proprio quando sembrava essersi ripreso ecco che un tumore gli stava mangiando il cervello. Franchino corre per Nuraiò per annunciare un incendio catartico, ma le fiamme può vederle lui solo. Ora è Franchino il matto, il Re di Nuraiò. Si sente Dio e crede di poter salvare i suoi concittadini. Sono tutti pazzi. E come no.
Settima storia. Romantica e dolorosa vicenda di chi è stato costretto a lasciare la Sardegna, con la morte nel cuore, per l'indigenza coatta; reduce di guerra, di una guerra assurda e dolorosa come sempre, s'era ritrovato ospite d'un mondo che non amava e non avrebbe imparato a dominare mai. Gli ultimi segreti di questo vecchio, che infine s'è ritirato a Nuraiò, rimangono velati – c'è forse un amore incompiuto, senz'altro qualcosa di inespresso. La gioventù non torna, rimane solo la meraviglia della natura dell'isola, della Sardegna.
Ottava storia. Chi è nato lupo neanche la morte lo fa agnello. Puttaniere e politico, Bastianu è custode dei segreti e delle storie di tanti poveri cristi pronti a tutto pur di piazzare i figli, magari in Regione. Soriga si prende gioco dell'infamia della corruzione della classe dirigente – di certa classe dirigente – isolana. Pezzo necessario.
Nona storia. È un brano raccontato per foto: l'ennesima incursione nella memoria. “La memoria”, sostiene Soriga, “si affaccia dove vuole e riemerge all'improvviso con immagini sbiadite che fanno male, o sorrisi dimenticati di qualcuno che era così importante, un secolo fa, e oggi chissà dove brucia le sue ore, chissà con chi. La memoria si fa guidare da un odore, un sapore, un vestito grigio di buona lana dimenticato in soffitta. Da delle foto ingiallite” (p. 107). Una memoria che infine si vuole cancellare. Bruciare le foto, come si conviene, quando l'identità pretende una rotta nuova.
Decima storia. Flusso di coscienza d'un pazzo. Pop. Irrisolto, manierista. Undicesima. Rimpianti e bestemmie per chi non accetta la piega presa dalla realtà. Non memorabile. Dodicesima. La più lirica, forse. Spiega tanto della grandezza dei sardi, e di come “può esser facile passare le notti felici con due accordi e un cielo di stelle, anche in quest'angolo scordato da tutti, tra questa gente che non conta niente, che siamo tutti figli del Cielo, dirà il Poeta, se è sua quell'ombra che fuma in silenzio, e sorride” (p. 141). La musica e la danza attenuano e mitigano nostalgie, dolori, frustrazioni per le cose della vita. Si combatte sorridendo e danzando la musica del territorio, e del popolo. Bellissimo, questo virile e franco orgoglio.
Ultima storia è quella di uno straniero, che torna in cerca del suo amore nel paesino, e sembra pronto ad aspettarla in eterno, perché pretende di poter stare ancora al suo fianco. È come una ballata blues, si lascia ascoltare, venata di malinconia e di qualche impertinenza, qua e là. Come la scrittura di Soriga. Fedele al territorio, e al territorio incatenata; in altre parole, documentaristico-lirica, sbagliata quando diventa pretenziosa, indovinata quando si fa scabra, essenziale, minima. Quando Soriga sale di tono e di ambizione diventa uno del continente, e lassù è uno come tanti. Uno che passa, o uno da niente. Nuraiò e la Sardegna sono i mondi da cantare – quei mondi non ci stancheremo di ascoltare. Cantane ancora.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Flavio Soriga (Uta, 1975), giornalista e scrittore sardo, laureato in Scienze Politiche. “Diavoli di Nuraiò” è la sua opera prima. L'ultimo libro pubblicato è “L'amore a Londra e in altri luoghi” (Bompiani, 2009).
Flavio Soriga, “Diavoli di Nuraiò”, Il Maestrale, Nuoro 2000. Prefazione di Silvana Grasso.
Approfondimento in rete: Wiki it
Gianfranco Franchi, aprile 2009.
A Elio detto Ryo
Prima pubblicazione: Lankelot.