Lettere di una novizia

Lettere di una novizia Book Cover Lettere di una novizia
Guido Piovene
Bompiani
2005
9788845234774

“Dunque è deciso, io sono già condannata. Se cerco di salvarmi, io faccio la vostra rovina: mi arrendo e accetto la mia sorte. Ma permettetemi almeno di disobbedire, una volta soltanto, al vostro ordine di non scrivervi più. Tollero qualsiasi pena fuorché un falso giudizio, specialmente dato da voi, e quello che voi pensate è così orribile che non è umano proibirmi un tentativo di difesa. Voglio che sappiate da me ciò che è veramente avvenuto. Metterò finalmente una confessione totale nelle mani dell'unica persona che ha dimostrato di intendermi, almeno in parte” (Piovene, “Lettere a una novizia”, Lettera XXII, p. 117).

Primo romanzo di Piovene, apparso a dieci anni di distanza dalla raccolta di racconti “La vedova allegra” (1931), libro poi rinnegato, il dramma (molto) piccolo borghese ed esistenzialista “Lettere di una novizia” è strutturato in una prefazione e 42 lettere. “Testo più fortunato di Piovene” secondo Ernestina Pellegrini, poggia sul paradigma delle “Relazioni pericolose” di De Laclos (p. XVI). La protagonista Rita, “monaca per forza”, è – secondo la critica – “l'erede della Religieuse di Diderot, della Monaca di Monza del Manzoni, della Capinera di Verga, delle carmelitane di Bernanos (…), della suora soprano del Peccato di Boine, del frigido abate Mouret di Zola” (p. XIX). È una figura malinconica e morbosetta, piagata dal clima culturale dell'epoca, dall'ipocrisia del monastero e dei religiosi e dalla menzogna che ogni cosa sporca e corrode, vita famigliare, sentimentale e monacale; un personaggio maligno senza essere malvagio, capace di uccidere forse senza cattiveria, capace di menzogna forse senza accorgersi della gravità del suo comportamento. È una che sembra vivere come per errore, e che tutto vive sbagliando. Un paradosso vivente.

Piovene, nella prefazione, diceva di non potere che amare la sua protagonista: “essa che sembra raccogliere in un miscuglio di sentimenti evasivi il più caro e molle paesaggio della mia vita, il Veneto di terraferma, i suoi colli che spuntano nel mezzo della pianura, e vi rimangono sperduti, guardando tutto all'intorno, con prati, selve, vigne, giardini a balcone (…) Potrei non amare Rita, che riassume questo paesaggio e lo conduce nel ricordo?” (p. 4).

Probabilmente non a caso, a questo punto, sono proprio le descrizioni del Veneto uno dei momenti più felici di questo romanzo epistolare: sentite qua: “Crescevo sana, i pomelli arrossati dall'ignoranza e dall'aria dei monti, verso i quali guarda il collegio, a differenza della casa dei nonni che guarda la pianura. È un Veneto dimagrito e rozzo, che mostra lo scheletro rustico di questa terra malinconica, dissimulato altrove da colori e luci; i palmizi, le case vi sembrano appoggiati al suolo; solo la nebbia colorata e la luna hanno una triste opulenza” (p. 22). Passo davvero molto riusciuto.

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Contestualizziamo l'opera sempre con l'aiuto della curatrice dell'edizione Bompiani, Ernestina Pellegrini: “Nella produzione narrativa di Piovene si distinguono un primo e un secondo tempo, divisi da un intervallo di quattordici anni di silenzio, dedicati interamente al giornalismo. Il primo tempo (1931-1949) è legato alle grandi opere psicologiche, ai romanzi confessione (Lettere di una novizia, Pietà contro pietà, I falsi redentori), ai racconti della sincerità (le raccolte della Vedova allegra e della Gazzetta Nera), mentre il secondo tempo appartiene ai complessi romanzi metafisici, di alta densità filosofica (Le furie, Le stelle fredde, Verità e menzogna), alla ricerca terribile e disumana della 'verità'” (p. XV).

A distanza di quasi 70 anni dalla prima pubblicazione, questo romanzo invecchia dignitosamente. Non tanto per il genere prescelto, quello epistolare, che già all'epoca si avviava con una certa stanchezza ad essere esausto; né per la lingua, decisamente letteraria e per questo, in qualche misura, al di là del tempo. È la società descritta e rappresentata che non più esiste, è mutata in buona parte e per questo ha ragioni di fascino; se l'ipocrisia, la falsità e la menzogna non possono conoscere fine, stessa cosa non si può proprio dire delle costrizioni a prendere i voti per volontà famigliare, o dell'incapacità della Chiesa di leggere nel cuore dei suoi giovani preti e delle sue giovani monache. A quanto pare, negli anni Quaranta le cose erano differenti. Abbastanza pazzesco, a ben guardare.

La novizia di Piovene è una ragazzina languida (l'aggettivo non è speso casualmente: si ripete spesso nel corso dell'opera) cresciuta – in questo, involontariamente, è molto moderna – senza padre: orfana, allevata dai nonni e da una madre ancora troppo innamorata della vita (e dell'amore), più rivale che amica ed educatrice, si ritrova a scoprire la sua femminilità in un intervallo tra una detenzione (chiamiamola così) educativo/religiosa e l'altra; l'esito rovinoso della sua storia d'amore con un ragazzotto, con tanto di (grottesco) omicidio, sembrano trascinarla nel buio. Piovene confonde il lettore assimilando la tragedia di (Marghe)Rita alla confusione mentale e comportamentale della madre, e del confessore della novizia, responsabile delle micidiali dinamiche della “fuga” della ragazza dal monastero; la sensazione è che l'artista veneto abbia voluto suggerire che non c'erano vittime, ma solo carnefici, in questa vicenda. Dove – all'italiana – viene da dire che “il più pulito c'ha la rogna”. Il confessore forse s'è innamorato della novizia; la madre forse ha più di un altarino; il primo, giovane seduttore della novizia voleva comunque tagliare la corda, prima d'essere ucciso; la Chiesa tutto voleva fuorché uno scandalo, e per questo era pronta a giocare l'infame carta dell'omertà. E via dicendo.

Libro cupo, ottocentesco e borghese, vale oggi come morbosetto divertissement snob, per lettori forti in cerca di scandaletti di provincia. D'antan.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Guido Piovene (Vicenza, 1907 – Londra, 1974), giornalista, scrittore e critico letterario italiano, discendente da antiche famiglie aristocratiche. Esordì pubblicando la raccolta di racconti “La vedova allegra” (Torino, 1931). Si laureò in Filosofia con una tesi sull'Estetica di Vico.

Guido Piovene, “Lettere di una novizia”, Bompiani, Milano 2005. A cura di Ernestina Pellegrini. Collana Romanzi e racconti. Tascabili Bompiani, 388.

Prima edizione: 1941. Adattamento cinematografico: “Lettere di una novizia” di A. Lattuada, 1960.

Gianfranco Franchi, ottobre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.