Hanno tutti ragione

Hanno tutti ragione Book Cover Hanno tutti ragione
Paolo Sorrentino
Feltrinelli
2011
9788807018091

Provocatorio, coprolalico, torrenziale e satirico, sconnesso e prepotente, "Hanno tutti ragione" (Feltrinelli, 320 pp., euro 18) è l'esordio letterario del regista Paolo Sorrentino, partenopeo classe 1970, padre del divertissement anti-andreottiano e tarantiniano "Il Divo" e dell'elegiaco "Le conseguenze dell'amore". Penalizzato dalla copertina più respingente di tutti i tempi, forse più adatta a rappresentare esteticamente l'eventuale opera prima di Garrone (arriverà: qualche anno fa Giordana, pochi mesi fa i diari di Zurlini, adesso Sorrentino...), il romanzo è stato omaggiato e benedetto dal vecchio santo patrono dei casi letterari italiani: già supremo artefice delle fortune di Avoledo (oneste e sensate) e Faletti (del tutto equivoche), Antonio D'Orrico ha così pontificato, nel febbraio scorso, sulle colonne del "Corriere della Sera": "Paolo Sorrentino ha inventato Tony Pagoda, un eroe del nostro tempo, il più grande personaggio della letteratura italiana contemporanea”.

Cominciamo subito col dire che tutto è fuorché un eroe, il Tony Pagoda: semmai è un'icona infelice, drogata, viziosa e infausta, paradigmatica d'una miseria culturale depressiva e deprimente. E che se questo è "il più grande personaggio" della nostra letteratura italiana, allora c'è qualcosa che è sfuggito a papa D'Orrico: almeno "Il gregario" di Paolo Mascheri, almeno "Actarus" di Claudio Morici, almeno "Il nemico" di Emanuele Tonon, sempre restando sul livello dei narratori nati negli anni Settanta. D'Orrico ha scritto che questo romanzo è bello come "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" o "La cognizione del dolore" di Gadda e "Viaggio al termine della notte" di Céline. Sospettiamo che la lunga distanza temporale che separa il pontefice dei casi letterari dalle prime letture di quei romanzi abbia determinato un entusiasmo un po' eccessivo. Il concetto, forse, poteva essere questo: "Hanno tutti ragione" è massimalista e scorretto, e in questo senso si può considerare derivativo rispetto al paradigma céliniano; linguisticamente, si concede qualche licenza (ma senza eccedere, e senza averne coscienza letteraria) che può considerarsi derivativa rispetto all'espressionismo italiano. Da qui a stabilire parallelismi tra l'ingegnere milanese e il regista partenopeo (LFC può riposare in pace) ce ne vuole. Ci vuole, soprattutto, una grande fiducia nella scarsa lucidità dei lettori italiani. Ci vuole, aggiungiamo, un pizzico di pressappochismo, più pubblicitario che critico letterario.

"Hanno tutti ragione" è un romanzo disorientante perché si tratta dell'opera prima di un outsider. Come tutte le opere prime, ha poderosi difetti e affascinanti tratti distintivi. È narrativa sconnessa, slabbrata, povera di struttura, a metà strada tra un canovaccio evoluto e una smania di giudizio della realtà, spesso sbrodolona, masaniella e populista. È narrativa solo apparentemente popolana, per lessico e vicende raccontate; c'è qualche pretesa d'affermare una personalità autoriale che Sorrentino potrà guadagnare nel tempo, come scrittore. Come regista, mi sembra pacifico, le cose sono ben diverse. E meno male. Incontriamo, allora, questo favoloso avatar plasmato da D'Orrico. Ecce Tony Pagoda da Vico Speranzella. Attaccato alla vita come una sanguisuga, ha avuto talento e discreta fortuna, come cantante da night. È un furbo, convinto che la furbizia sia un'arte. Molto napoletano, in questo senso, molto viscerale. È un cinico, che giura che la vita l'abbia inventata un sadico, "fatto di coca tagliata malissimo". Ma è uno che non vuole appassire. Crede che l'arte di tirare avanti passi per il sentiero supremo della distrazione. E sa sopportare la nausea, perché nella nausea ci sta a meraviglia. Adesso ha 44 anni "carichi e feroci" e si sente "fradicio di sé stesso". È un cocainomane (da vent'anni) con chiari complessi di inferiorità nei confronti di Frank Sinatra. E qualche nostalgia per l'Italia. Torna a Napoli, dagli States, ma la musica non cambia: complice un amore perduto (male, nel male), Beatrice, si tormenta e si sprona con "cocaina, vino, birra, superalcolici, cocktail, aperitivi, sigarette, grassi animali e vegetali". Il rapporto con sua moglie è un po' peggiorato ("Quindici anni fa si scopava da bufali. Ora è un oggetto d'arredamento"; "Un involtino di angoscia mi è diventata questa donna"). Divorzio. Brasile. A spegnersi, dalle parti di Manaus, a imparare qualcosa da un mammasantissima scampato a tutto quanto. Per diciotto anni. Poco prima del capodanno del 2000, l'Italia torna a chiamarlo. Arriva un suo ammiratore, ex craxiano, ora deputato della Repubblica. Si chiama Fabio, è pieno di soldi e di malinconia. Domanda una serata in Corsica e stop. Paga un miliardo più del dovuto. Promette un sacco di donne. Tony non sa niente di quel che è successo negli ultimi vent'anni, i suoi vecchi amici racconteranno qualcosa. Dai cellulari a Ikea, passando per la fine della vecchia repubblica, l'avvento dei computer e via dicendo. E poi finisce a Roma, ben salariato da Fabio. Passano due anni. L'Italia è "anarchia spregiudicata ai limiti del regime sudamericano", e il vecchio Fabio confonde la sua vecchiaia con quella di questa nazione. Succede. La sua ultima ossessione è per la parola "figo". Vedrete come.

Qualche ulteriore osservazione. Le prime battute del libro sembrano avere più di un debito di riconoscenza nei confronti dell'incipit di "Wrong" di Andrea Consonni, apparso nel 2003: mentre lo scrittore lombardo giocava sul concetto "non me ne frega un cazzo", seguito da una valanga di cose e di persone per le quali non aveva interesse, il regista napoletano punta su un più educato – ma non meno torrenziale – "non sopporto". In entrambi i casi, una potenziale fonte di ispirazione comune è la famosa scena dello specchio della "Venticinquesima ora" di Spike Lee (2000), film tratto dal (bel) romanzo omonimo di David Benioff. Ricordate? È il monologo del "fuck". Siamo da quelle parti. Decisamente. E adesso scopriamo come scrive il regista Sorrentino. Perchè è stravagante e irregolare la lingua letteraria del narratore di questo romanzo. A partire dagli aggettivi. Come scrive a un tratto, raccontando della seduzione, vuole essi siano "spiazzanti e convincenti, iperbolici e precisi". Ecco allora che Tony è uno "ieratico" e speranzoso di carattere; ha amici "limitrofi" alla sua esistenza, mentre i musicisti sono "defenestrati" dalle loro abitudini, e lui si "ubica" su un palco; e poi il silenzio si fa "fragile. Esistenziale"; memorabili le lacrime "stanziali", almeno quanto la vita di coppia di due amanti "ierofanici" e "ossidionali". Buona invece la coatta "entrata giaguara", gli accademici come "risma che sa proferire", "sifilitici dell'intelletto". Questo Pagoda ha qualche frustrazione universitaria alle spalle: "Il docente universitario – scrive – è sempre vigliacco. I libri la sua trincea. La pubblicazione il suo moschetto. Ma dentro non c'è niente". Chissà, prima di cantare nei night forse studiava al DAMS.

Concludiamo con qualche curiosità. Errori cronologici non mancano; nel 1980, Carl Lewis è considerato già "campione del salto in lungo": peccato abbia conquistato i primi titoli nel 1983. Il film "Innamorarsi", con De Niro e la Streep, è considerato già uscito con quattro anni di anticipo. Si vede che nel cinema certe cose si sanno un sacco di tempo prima; oppure – diciamo così – che stanno nell'aria. Proprio come certi casi letterari. E questo è quanto.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Paolo Sorrentino (Napoli, 1970), regista e sceneggiatore italiano. "Hanno tutti ragione" è il suo primo romanzo.

Paolo Sorrentino, “Hanno tutti ragione”, Feltrinelli, Milano 2010.

Approfondimento in rete: WIKI it.

Gianfranco Franchi, aprile 2010.

Prima pubblicazione cartacea dell'articolo: Il Secolo d'Italia, 27 aprile 2010, pagine 1, 8, 9. A ruota, Lankelot.