Studio Tesi
1994
9788876924477
“Ricordi di un impiegato” è un diario che, con qualche difficoltà, possiamo classificare come “romanzo breve”. Questa difficoltà nasce per due ragioni: una strutturale e una contenutistica. Spiega, a questo proposito, Marchi: “(…) Nel diarismo narrativo dei Ricordi la componente autobiografica gioca un ruolo essenziale, di assoluto rilievo. A garantire del rimando a vicende della vita dell’autore intervengono dati biografici ineludibili come il soggiorno impiegatizio dell’aiuto-applicato Federigo Tozzi, in servizio alla stazione ferroviaria di Pontedera dal 1° marzo 1908 (e quindi, per trasferimento, dal 1° maggio all’ufficio dell’Archivio di Firenze), e la sua condizione di giovane lontano dalla propria città, distante da una situazione famigliare a lui ostile e da una fidanzata che lo ama. Di più: il diarismo dell’opera ricalca, con riprese e sovrammissioni talvolta esatte (…) luoghi della corrispondenza tra Tozzi ed Emma Palagi, di lì a poco (…) sua moglie” (tratto dalla prefazione, pp. VII-VIII).
La prima stesura di “Ricordi di un impiegato” fu rifiutata dalla rivista “La Lettura” nel 1911. Il testo venne rimaneggiato e ampliato tra 1919 e 1920. Quel che oggi andiamo a leggere, nell’edizione postuma, è allora la testimonianza frammentaria d’un periodo dell’esistenza dell’artista senese: appena mitigata da una patina di letterarietà e da una velleitaria trasfigurazione dell’identità dell’io narrante, qui battezzato Leopoldo Gradi.
È una figura fragilissima, che articola la narrazione delle vicende piccolo borghesi della sua vita in un diario esile e tenue; il protagonista è un martire del disadattamento e della desolazione. È un giovane fobico e irrequieto: racconta d’essersi ubriacato d’ozio e di vagabondaggio, tra i quindici e i venti anni, e che la sua anima conosce uno ed un solo mestiere – l’amore. Tuttavia si sente ambizioso. Vicissitudini famigliari lo spingono a partecipare ad un concorso indetto dalle Ferrovie dello Stato: vince e viene assegnato a Pontedera; dovrà allora lasciare la fidanzata, Attilia, che ama d’un amore incompreso dalla famiglia e ancora estraneo al suo sguardo, e partire, nella speranza d’andare a costruire le fondamenta d’un futuro da vivere al fianco di lei. È innamorato d’un amore romantico e misticheggiante: “vicino a lei, un’estasi meravigliosa prende la mia volontà e miei sensi. Il tempo non esiste più, ma soltanto uno spazio infinito. Quando ella mi parla, le stringo le mani; per ringraziarla” (2 marzo, p. 9).
Parte da Firenze, giovanotto emotivo e ipersensibile, incontrando un ambiente provinciale, pettegolo e mediocre che tende ad emarginarlo e a rifiutarlo; a dispetto della sua gentilezza e della sua disponibilità, viene trattato con diffidenza e prevaricato senza eccessivi rimorsi di coscienza. Alloggia dapprima in un alberghetto, quindi in una camera assegnata ai dipendenti delle Ferrovie – abbandonata quando scoprirà che, ogni mercoledì mattina, viene trasformata in uno studio dentistico – senza riuscire ad ambientarsi mai; trascorrono due mesi solcati dalla corrispondenza con Attilia, che s’è ammalata d’un morbo che la sta trascinando via, segnati da un’ostinata percezione di rifiuto nel tessuto cittadino, intervallati da sprazzi di lirismo e di dedizione alla memoria, al ricordo, al non esistente, in generale. Leopoldo ha paura di chiunque gli si avvicini, per quel che può derivarne nel suo spirito. Infatti, confida che “se certe persone conoscessero le tracce inestinguibili che hanno lasciato in me, ne sarebbero stupite. Quando penso che io sono fatto di tante strisce che corrispondono ad altrettanti giorni, mi domando se esisto io o le cose che ora ho dinanzi agli occhi. E mi domando cosa significa vivere” (9 marzo, p. 27)
Leopoldo va a ricercare nei ricordi significati abbandonati o abiurati; se il presente è tutto tedio e fastidio, incompatibilità e incomprensione (e non s’illude nemmeno quando sente una primitiva attrazione nei confronti della giovane Nèmora), alternativa diversa dall’analisi del passato non rimane.
Attilia sta sempre peggio: quando parte per andarla a trovare, finirà per vegliarne il cadavere. Ultima consolazione rimane poter battezzare la sorellina, neonata, con il nome della fidanzata perduta; la madre di Leopoldo non s’oppone, ma si fa promettere dal ragazzo di “non confondersi più” con nessuna ragazza. La narrazione termina con il trasferimento-lampo del protagonista a Firenze, grazie ai buoni uffici del padre. L’adolescenza e l’innocenza sembrano essere andate perdute con la morte dell’amore puro della sua giovinezza, e con l’indesiderato e complesso esordio nel mondo del lavoro.
Non ha l’intelligenza e il sentimento di “Con gli occhi chiusi”, e non illumina né incendia né oscura l’anima del lettore; è un nebuloso diario, a volte scabro ed essenziale e d’un tratto denso e ridondante – s’allude, in particolare, a qualche descrizione della natura o d’uno stato d’animo. Non costituisce una lettura fondamentale né nel contesto dell’opera tozziana, né nell’ambito della nostra letteratura novecentesca, né nell’ambito del “romanzo di formazione”; preferiremmo segnalare, a beneficio di quanti fossero interessati al tema del primo approccio con il “sistema” e con la “maturità” tramite un’esperienza lavorativa, l’opera prima del grande Pontiggia: “La morte in banca” (1959). Riservato ai cultori della letteratura di Federigo Tozzi.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Federigo Tozzi (Siena, 1883 – Roma, 1920), poeta, giornalista e romanziere italiano. Esordì pubblicando la raccolta di versi “La zampogna verde” nel 1911. L’anno successivo fondò, assieme a Giuliotti, la rivista “La Torre” (“organo della reazione spirituale italiana”). Morì di febbre spagnola nel 1920.
Federigo Tozzi, “Ricordi di un impiegato”, Studio Tesi, Pordenone 1994. Prefazione di Marco Marchi.
La prima stesura di “Ricordi di un impiegato” fu rifiutata dalla rivista “La Lettura” nel 1911. Il testo venne ampliato e rielaborato tra 1919 e 1920.
Prima edizione: “Ricordi di un impiegato”, in “La Rivista Letteraria”, s. I, vol. II, maggio 1920; quindi, Mondadori, Milano, 1927.
Gianfranco Franchi, dicembre 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.