Capponi Editore
2009
9788863400021
Esordio di Andrea Tosti, scrittore marchigiano classe 1980, “Oggetti smarriti” è uno stravagante divertissement letterario, a metà strada tra l'antica lezione della caverna platonica e un film distopico come “Brazil” di Terry Gilliam: si tratta, in sintesi, di un breve romanzo distopico ambientato nella Filiale di una Società che sembra costituire il mondo intero; questa Società è quella degli oggetti smarriti. Tutti i lavoratori della filiale vivono all'interno dell'azienda: non hanno nessun interesse per l'esterno, nessuna curiosità, nessun desiderio di esplorarlo. L'esterno è diventato un luogo mitologico: tutto quel che ha importanza è fare carriera all'interno dell'azienda, essere buoni burocrati o buoni magazzinieri, mostrarsi cordiali nei confronti dei colleghi. D'amore, d'arte o di sesso non parla nessuno. La Società s'è forse avviata all'autodistruzione.
Tosti riesce – complice un finale buffo, e molto spiazzante – a dar vita a un esordio credibile, appassionante e intelligente: la sua satira non è mai così sottile da suonare criptica; è piuttosto diretta, pungente, guascona. Tecnicamente, l'autore mostra una discreta confidenza con la lingua letteraria e un buon controllo dell'intreccio; si riconosce un sicuro talento narrativo, destinato a dar vita, negli anni a venire, a qualcosa di intelligente, e probabilmente di duraturo. Già a questo livello Tosti mostra un promettente approccio massimalista, una buona ambizione e una fascinosa capacità di amalgamare generi distanti (dal romanzo d'appendice mutua il sentimentalismo, dalla fantascienza la descrizione d'una futura società oscura e buia, prigioniera della burocrazia; dalla filosofia attinge per trasfigurare un archetipo; e così via). Insomma: Tosti è un narratore emergente che, con un pizzico di fortuna e di sacrificio, potrà affermarsi a livello nazionale negli anni a venire; guadagnando, al contempo, simpatie nel mondo del cinema. Questa la mia sensazione.
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Narratore della vicenda è un catalogatore di un ufficio di oggetti smarriti: ex magazziniere, oggi caporeparto. Uno che ogni giorno archivia quel che le persone perdono per strada, nei bar, nelle sale d'aspetto, nelle automobili dismesse. I neofiti, in quello strano luogo, sognano – romantici – di ritrovare qualcosa di rivoluzionario, magari gli scritti di un genio rimosso o mai emerso; ma lì “non conserviamo pensieri. Non so se esistano contenitori adatti per oggetti così fuggevoli, ma in ogni caso non li ho mai visti figurare nelle liste delle nostre forniture: per il resto non c'è limite a quello che possiamo accogliere” (p. 9). I loro oggetti non sono quelli più facili da ritrovare, “magari spostando qualche armadio e cercando meglio fra le pagine di un vecchio libro. Quelli che conserviamo qui sono beni irrimediabilmente perduti, che nessuno avrebbe mai potuto ritrovare e che in ogni caso non potranno mai essere rinvenuti” (p. 20).
Per archiviare oggetti ingombranti, giganteschi, ci sono tanti vecchi paesini abbandonati nel secondo dopoguerra, in pieno boom economico. Nel sotterraneo, centinaia di cadaveri dimenticati da tutti, in una cella frigorifera.
Un giorno, viene smarrito un bambino. Dopo ampio dibattito, si decide che un dipendente dell'azienda dovrà accoglierlo, accudirlo, educarlo: è proprio il nostro narratore. Il piccolo viene battezzato – con buona sensibilità letteraria – Astolfo. Cresce bene, negli anni; il narratore, nel frattempo, con grande fatica ha imparato a studiare tutto quel che potrebbe essere necessario per allevare un cucciolo d'uomo; a sei anni, legge, cucina cose semplici, sa contare, va in bici senza le rotelle, comunica per bene e con semplicità. Ma tutto questo non basta a liberare il gran magazziniere dall'ingrato compito: i dirigenti decidono che dovrà badare al piccolo sino ai diciotto anni. Curioso: è il primo “oggetto” con una data di scadenza.
Il piccolo passa presto a letture complesse e indecifrabili per il suo tutore, come il “Sommario di decomposizione” di Cioran. Attorno ai sedici anni, mentre il narratore invecchia e si incurva, cerca una prima volta di fuggire dal magazzino. I lavoratori si interrogano: che esista una sorta di zona franca all'interno della fabbrica? All'esterno – qualcuno pensa - “in realtà non accade nulla, l'unica realtà concreta è quella redatta in file ordinate, schedata nei nostri casellari (...)” e il narratore aggiunge: “È anche per questo che trovo noiosi i libri: fra queste mura, queste paratie di ferro imbullonate, siamo così simili che quando si legge un rapporto redatto con particolare cura e partecipazione si ha l'impressione di trovare espressi, certo attraverso le particolarità del singolo, i propri pensieri come (…) quelli di chiunque altro e tutto diventa così calmo, così quieto, rassicurante, da non far desiderare altro” (p. 68). Quando Astolfo s'avvicina ai diciotto anni, e c'è chi scommette possa essere il primo oggetto smarrito assunto dall'azienda, scompare nel nulla. Ma con la trama ci fermiamo qui.
“Brazil” incontra Platone, allora: magari negli archivi di “Tutti i nomi” di Saramago. A dare senso, colore e significato a questa alchimia è una bella intelligenza letteraria, assolutamente italiana. Buon segno.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Andrea Tosti (Ascoli Piceno, 1980), scrittore e sceneggiatore italiano, laureato all’Accademia Internazionale per le Arti e le Scienze dell’Immagine de L'Aquila.
Andrea Tosti, “Oggetti smarriti”, Paoletti D'Isidori Capponi, Ascoli Piceno 2009.
Gianfranco Franchi, novembre 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.