Einaudi
2000
9788806151447
“The world will note that the first atomic bomb was dropped on Hiroshima, a military base” (Harry Truman, Presidente degli Stati Uniti, 6 agosto 1945. Unico rimpianto della sua vita, ufficialmente, essersi sposato troppo tardi)
Roma, agosto 1999. Claudio e Sandro stanno lavorando a una sceneggiatura nuova, “Il bombardiere del Gianicolo”. Sembra un soggetto disimpegnato; allegorico, ma poco coraggioso. Hanno scritto il dramma in cinque giorni, si sentono già come von Trier e Niels Vorsel. Si sono appostati per un mese, a mezzogiorno, ai piedi della statua di Garibaldi, per studiare per bene tutto quel che capitava quando partiva il famoso colpo di cannone; sembrano molto contenti della loro creazione. Peccato che il file si sia danneggiato, e così l'unica copia, su dischetto. Allora Claudio tira fuori la vecchia Lettera 22, perché sa che quella non tradisce. Non cancella le pagine, non dimentica d'essere fondamentale: è viva. Prendono e tornano a scrivere. Basta poco per accorgersi che possono correggere il tiro. Altro che il bombardiere del Gianicolo: si punta dritto al pilota di Hiroshima, Claude Eatherly, e alla sua terribile storia. Massacrato dai sensi di colpa, per anni, internato in un ospedale militare, guarì scrivendosi col filosofo tedesco Anders, che seppe restituirlo alla lucidità, complice una lettura di cittadine sopravvissute al massacro. Ma prima, Eatherly soffrì, massacrato da incubi tremendi, “popolati da uomini-carbone, ustionati così sconciamente da apparire simili a protoantropi nerastri, o addirittura a scimmie primordiali, di un'altra Età del mondo. Uomini-mummia, legnosi e rinsecchiti, con gli abiti calcificati addosso, proprio come le bende delle mummie. Uomini-cera, a tal punto piagati da vedersi scioglire mollemente le carni, fino al biancheggiare delle ossa” (pp. 56-57). Soffrì e cercò disperatamente pace: era l'uomo che brucia – stava bruciando per essere stato strumento del male, per essersi consegnato alla storia come il principe dei massacratori, il più terribile degli assassini.
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Sandro ha un'aura maudit e fascinosa, è più vicino ai quaranta che ai trenta. Scrive assieme a Claudio da una vita, si direbbe; i due mostrano una confidenza capace di tollerare e condividere tutto, i vizi (birra, sigarette, caffé) e le ossessioni. Claudio è esaltato dal caldo, non soffre per niente l'afa, sente di riuscire a lavorare meglio in un clima del genere. Soffre di una strana tosse, tutti i giorni, sembra un fenomeno nervoso. E poi ha molto mal di pancia; delle fitte. Non capisce cosa possa essere. É ultrasensibile. È ancora tormentato dal ricordo della malattia del madre, e delle chemioterapie; non è bastato che guarisse, perché da quel momento lui è rimasto ferito dall'epifania del male (“Il male è bianco”, p. 96). Sembra quasi che a un tratto Sandro diventi il filosofo tedesco, Anders, e Claudio il pilota della bomba, il pilota dell'Enola Gay. Sono così andati a fondo nella loro storia che scrivendola la stanno ripetendo.
Governi orchestra un romanzo che sembra sinceramente vicino alla narrativa teatrale, in un'ambientazione semplice, spartana, beckettiana: una stanza, con una cucinetta e un bagno. In questa piccola stanza entrerà un ingombrante relitto della guerra – un frammento, la prua, dell'aeroplano che bombardò Hiroshima. In questo contesto essenziale e spoglio, tutta la concentrazione del lettore deve necessariamente poggiarsi sui dialoghi tra i due personaggi, in ognuna delle dieci scene. Altro non c'è: nessun diversivo, nessun escamotage, nessun espediente narrativo. Soltanto due scrittori che sceneggiano l'incarnazione e l'epifania del male, e il male indagano e testimoniano, con dolore e dignità. Ecco, non vedo l'ora di vedere questo romanzo nel suo habitat naturale – il teatro, o il cinema sperimentale e impegnato. Quella è la sua origine, quella la sua destinazione. Leggerlo ex novo, allora, assumerà un altro sapore. Possibile che non ci abbia ancora pensato nessuno?
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A latere. Segnalo omaggi a Marguerite Duras (“Hiroshima mon amour”), Anthony Hopkins (per il suo ruolo nel “Silenzio degli innocenti”), Massimo Fini (“Nerone”), Camus (“La peste), Dylan Thomas, Tiziano Sclavi (“Dylan Dog”), Kafka (“La metamorfosi”), Monty Python (“Flying Circus”).
Governi ha esordito pubblicando con Baldini e Castoldi “Il calciatore”, nel 1995. Questo libro, pubblicato a cinque anni di distanza da Einaudi, è stato il suo secondo romanzo. Mi sono domandato, leggendolo, chi altri – a parte Beckett, che mi sembra sinceramente l'influenza principe – avesse influenzato l'artista capitolino, ispirandogli questa prosa così chirurgica, fredda, scabra. Ecco la risposta. “Coccioli per me è il più grande scrittore italiano del Novecento perché mi ha insegnato a dire la verità, tutta la verità” (fonte: Vibrisse).
Partirete – ripartirete, spero – da Massimiliano Governi per ritrovarvi a leggere Coccioli, allora. Questo sentiero potrebbe restituirvi il segreto di uno dei sensi profondi della scrittura, forse il più affascinante di tutti; ossia la ricerca tenace, disperata, essenziale (vorrei dire: nucleare. Ma in questo frangente non dovrei), della rappresentazione di ciò che attraversa il tempo, di ciò che il tempo ha saputo scolpire, della memoria che niente dovrà lavare via, e nessuna polvere potrà mai oscurare
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Massimiliano Governi (Roma, 1962), scrittore e consulente editoriale italiano. Ha esordito pubblicando il romanzo “Il calciatore” (Baldini e Castoldi, 1995).
Massimiliano Governi, “L'uomo che brucia”, Einaudi, Torino 2000. Collana Stile Libero.
Gianfranco Franchi, agosto 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Governi orchestra un romanzo che sembra sinceramente vicino alla narrativa teatrale, in un’ambientazione semplice, spartana, beckettiana: una stanza, con una cucinetta e un bagno…