2010
Antonio Pennacchi ed Edoardo Nesi hanno raccontato, nei loro ultimi libri, il monumentale romanzo "Canale Mussolini" (Mondadori, 2010) e il drammatico memoir "Storia della mia gente" (Bompiani, 2010), la rabbia, l'amore, l'orgoglio e la dignità di due popoli, quello pontino e quello pratese, che hanno saputo imprimere il loro nome nella storia del Novecento. Pennacchi e Nesi hanno trasfigurato esperienze comunitarie per raccontare, a tutti, quanto fosse fondamentale la cultura del lavoro e lo spirito di sacrificio dei lavoratori (e degli imprenditori) nell'Italia che sembriamo aver dimenticato d'aver vissuto. Abbiamo scelto di farci raccontare dai due artisti cosa sta succedendo al lavoro e ai lavoratori italiani: a quelli che erano capaci di bonificare le paludi, a quelli che erano capaci di diventare l'ombelico del mondo dell'industria tessile. È a partire dal loro esempio, e dalla loro lezione, che la nazione può ripartire. Sognando di risorgere. Diamo loro ascolto. C'è molto da imparare. Emerge un dato, con chiarezza, come vedrete: serve immaginare, fondare e plasmare un sistema nuovo. Serve farlo in fretta. Serve farlo ora.
Franchi: Carta canta: l'Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro. Quale lavoro? Quello precario? Quello a termine? Quello sparito nel nulla, o meglio traslocato all'estero? Che ne è stato del lavoro? Per colpa di chi?
Pennacchi: Non so rispondere... viene a chiedermelo proprio oggi, che stanno chiudendo la Fulgorcavi di Borgo Piave, dove ho lavorato per oltre trent'anni? Adesso si chiama Nexans, post passaggio Alcatel. Erano rimasti trecento lavoratori. Ne parlavo nel mio primo romanzo, "Mammut" (Donzelli, 1994). È difficile aggiungere altro. A volte mi sembra di non capire più niente del presente, questo è. Dentro di me so che il presente non può essere quello che è. Voglio credere che nel presente ci siano e ci debbano essere quegli elementi di positività che possono aiutare i giovani a guardare verso il futuro, per percorrere strade che noi non conosciamo: per animare qualcosa di diverso, di nuovo. Posso aggiungere soltanto che le strade che noi conoscevamo sembrano tutte essersi decisamente arenate. E che so che deve esserci un sentiero nuovo. Magari porterà verso le stelle, verso la conquista dello spazio. Io sto come quello che gli si è seccato il mare suo, la barca s'è arenata in mezzo alla montagna, e dove posso andarci più, ormai?
Le colpe ci stanno pure. Sicuramente sì. Colpe e responsabilità. Della classe operaia, anche, che rifiuta il ritorno al nucleare. La Nexans potrebbe essere salvata. Ci pensa? Visto che il governo italiano ha da poco firmato accordi con la Francia per il nucleare, finanziandola – immagino eh?; e visto che Alcatel, francese, è padrona della Nexans, e fa i cavi in tutto il mondo... allora basterebbe che Berlusconi chiamasse Sarkozy ricordandogli che lui finanzia il nucleare, e allora lui che ci salvasse la Nexans. Se in Italia, un giorno, torneremo ad avere centrali nucleari, a Latina avremo la prima. Guarda un po'. Già cinquant'anni fa, nel 1958, si verificò la strana coincidenza che la nostra città era una delle più adatte, era il sito ideale... oggi cosa potrebbe accadere di diverso?
Nesi: Io credo che bisogna riflettere un po' sull'idea di lavoro. Non è un caso se le aziende italiane garantiscano oggi solo lavoro precario e licenziamenti: c'è un problema legato alla struttura di queste aziende, al sistema in cui vivono. L'idea che si possa prendere la materia prima in patria e in patria lavorarla è stata messa in crisi dalla globalizzazione. Messa in crisi e distrutta. L'unica via di fuga è, a questo punto, fondare aziende nuove, dirette da giovani, da giovani estranei al nuovo schema. Perché questo schema è perfettamente riproducibile in Cina a una frazione dei costi previsti in Italia. La mia idea, molto poco liberista, è che lo Stato, con fondi che già esistono per lo start-up delle nuove imprese, dovrebbe avviare una politica di sostegno radicalmente diversa. Per questo è necessario che affaristi e manigoldi stiano fuori dallo Stato. Serve unione di coscienze... e servono quelli che negli States sono i "business angels", ossia vecchi imprenditori che si comportano da angeli custodi dei giovani, supervisionando i loro primi passi, dando consigli, ottimizzando tutti gli aspetti della produzione.
Franchi: Avete entrambi raccontato la storia d'un popolo, la storia della vostra gente; i pontini e i pratesi. Qual è la grande lezione del vostro popolo? Quanto può insegnare il vostro spirito di sacrificio, la vostra umiltà, la vostra capacità di affrontare privazioni e difficoltà?
Pennacchi: Io dico che mai nessuno insegna niente a nessun altro. Non c'è niente da insegnare. Io ho solo raccontato che la gente mia ha lavorato. Ha il culto del lavoro. Adesso soffre perchè ha perduto il lavoro... lasciateci lavorare! Senza lavoro che faremo per tutta la giornata? Fateci lavorare. Non c'è niente da insegnare, è tutto qua. Lavorare, mai abbattersi, perché le battaglie vanno fatte tutte quante. Ogni scontro s'affronta. A testa alta. Si combatte. Che facciamo senza lavoro? Guardiamo tutto il giorno la televisione? Vogliamo tornare al lavoro. Lasciateci lavorare.
Nesi: È una lezione straordinaria, quella che ci viene dai nostri popoli. C'è nobiltà nell'aver fatto tutta una vita lo stesso lavoro, una nobiltà che vogliono cancellare. Non è giusto. Fare lo stesso lavoro, contro tutte le difficoltà, contro qualsiasi avversità, dà l'idea di una gente, di un popolo che ci crede. Non si può fare un discorso di questo tipo senza spendere parole importanti e delicate come "ideale" o "moralità": ma credo sia il momento storico adatto. Non bisogna avere paura di sembrare retorici. Oggi si tratta di far sopravvivere un sistema: per questo è fondamentale reinventarlo.
Franchi: Nesi ha scritto: "I soldi che oggi risparmiamo comprando i prodotti cinesi sono quegli stessi soldi che servivano a pagare gli stipendi degli operai italiani, i mutui delle loro case e le loro pensioni, i loro ricoveri in ospedale, le scuole dei loro figli, le loro macchine e i loro vestiti. La loro vita, la nostra vita”. Perché questa visione della realtà è così impopolare? Perché abbiamo dimenticato il senso d'essere, e d'appartenere, a una comunità? Cosa ha determinato il prepotente egoismo della società odierna?
Pennacchi: Senso della comunità? Il problema viene ancora prima, il problema è un altro... I debiti non si devono fare. A casa mia mi hanno insegnato che non si devono fare debiti. E io non ne ho mai fatti. Noi italiani, come Stato, abbiamo incominciato a farli seriamente a partire dagli anni Ottanta. A casa mia non ci stanno debiti, lo Stato ne ha, lo Stato soltanto... è il debito pubblico. Nell'Agro Pontino i debiti si saldavano subito. I debiti fatti a nome dei figli e dei nipoti non esistevano, non erano manco pensabili. Il debito è basato sull'aleatorità, sulla ricchezza fittizia. Fare i debiti significa non voler lavorare. Io dico che la ricetta è semplice. Prima fatica e lavora, e guadagna, e poi compra. Senza fare debiti. Vale per tutti.
Nesi: Prima di tutto, questo egoismo è dato da un'idea malsana, che s'è diffusa senza contraltari, che diceva che l'unico modo per mandare avanti le relazioni economiche era "ispirarsi al mercato". Il mercato avrebbe provveduto... il problema è questo: è un'idea completamente falsa, completamente sbagliata. Serve una battaglia culturale per stroncare questo approccio. Oggi sappiamo che la globalizzazione porta vantaggi a qualcuno, non a tutti. Enormi parti d'Europa oggi vengono fatte a pezzi dalla globalizzazione. Economisti e liberisti ancora oggi ci dicono il contrario, e cioè che il mercato provvederà. Ma siamo matti? Quale mercato? Un mercato totalmente falsato....
Franchi: Pennacchi, eternando il leggendario esodo dei trentamila agricoltori e operai veneti, friulani e romagnoli, scrive: "Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perché se no? Se non era per la fame restavamo là. Quello era il paese nostro. Perché dovevamo venire qui? Lì eravamo sempre stati [...]". Quale potrebbe essere oggi l'innesco per un nuovo esodo? Stiamo per tornare a patire la fame, davvero? È immaginabile una nuova emigrazione? Per dove?
Pennacchi: Non mischiamo le questioni. Indietro non si torna, niente fame. Per carità. Un nuovo esodo è in ogni caso logico e prevedibile, perché fa parte della natura dell'uomo. Da quando siamo scesi dall'albero abbiamo cominciato a esodare. Siamo scesi dalle piante e ci siamo messi a camminare per capire e conoscere, e questo viaggio continua ancora oggi. Adesso dobbiamo guardare alle stelle, questo pianeta l'abbiamo conosciuto tutto. Noi veneti abbiamo popolato Sudamerica, Australia, Sudafrica. E poi diciamo agli africani di non venire? Abbracciamoli. Altro che ripetere un esodo antico... il prossimo sarà verso i pianeti che non conosciamo. Le crisi presenti portano me e Nesi a rimpiangere il passato, a sentire tanta nostalgia: ma so che in questa crisi ci sono gli elementi per uscire dalla crisi. Guardiamo alle stelle...
Nesi: Le parole di Pennacchi sono molto belle, alte e forti e danno idea e voglia di resistere agli esodi. Io credo che noi si debba trovare la forza per continuare a vivere bene dove siamo sempre vissuti. È questa la morale della favola. Del resto questo sto facendo, perché per il mio lavoro sarebbe meglio starmene a Milano e a Roma, ma io rimango a Prato. Rimango a Prato perché credo che qui ci sia bisogno di gente che rimane, e non di gente che se ne va via.
Franchi: Possibile che una nazione governata – da un ventennio circa – da un imprenditore sia rimasta indifferente di fronte all'affossamento delle piccole e medie imprese? È accaduto davvero? È soltanto nostra, questa indifferenza, oppure si è trattato di un fenomeno occidentale, in generale?
Pennacchi: Ma quale imprenditore? Che ha prodotto quello? Ha prodotto solo roba finta. Mai macchine o oggetti veri. Non ha mai plasmato la materia. È un commerciante di case, un pubblicitario. Tutte cazzate. Si vede che agli imprenditori sta bene così. A me no.
Nesi: Berlusconi è un imprenditore molto particolare. Lui ha creato ricchezza con immobili e televisione, senza dover affrontare il mercato mondiale. Quando andavo in Germania, a vendere i tessuti del mio lanificio, avevo contro tutto il mondo e non avevo nessun vantaggio se non quello d'essere un'azienda storica e stabile. La nostra industria è stata costruita autonomamente, senza aiuto dai politici. Si fa presto a dire "imprenditore", tra impresa e impresa corre un filar di case. Quanto al resto, negli altri paesi occidentali, è stato un obbligo per ogni politico quello di difendere le aziende del suo territorio. È normale che sia così, bisogna difendere i propri elettori. In Italia questo meccanismo è sempre stato più debole, e infine abbiamo fatto sì che in Europa ci fosse a rappresentarci o chi non sapeva trattare o persone che avevano direttive "diverse". Ossia di lasciar andare il manifatturiero, per capirci, e favorire altri settori.
Franchi: Che significa, oggi, la parola "proletariato"? Che significa, oggi, rapportarsi al nuovo proletariato senza servirsi dei vecchi schemi? Chi rappresenta, politicamente, i lavoratori e i figli del popolo? Chi dovrebbe averne davvero diritto?
Pennacchi: Ci stanno i ricchi e i poveri. Io credo nella società degli uguali. E credo che le masse subalterne esistano ancora. Le masse, come ricorda Nesi, sono anche quelle del proletariato cinese, che hanno pieno diritto a non lavorare in quelle condizioni disumane, sottopagati e sfruttati, nell'indifferenza di troppi: tutta l'umanità ha diritto a vivere dignitosamente. Non è pensabile che qualcuno abbia 25 case e qualcuno non abbia un buco. Non ha senso. Forse questo era uno dei prezzi da pagare per la globalizzazione, intanto però io ho nostalgia di tutto, della mia vecchia fabbrica, del mio lavoro... So che c'è un futuro, so che l'uomo è forte, intanto sto qua e piango per la vecchia fabbrica mia. Me l'hanno chiusa...
Nesi: La parola "proletariato" mi fa orrore, mi ha sempre fatto orrore. Queste persone vanno difese, perché il lavoro non lo hanno più. Bisogna che i nostri politici si rendano conto che tante persone non trovano lavoro, e non basta dire che il lavoro c'è ma è precario. Non si sostituisce un modello di sviluppo della gente con questo tipo di modello, è profondamente sbagliato. Siamo – anche noi scrittori – impegnati a difendere queste persone. Quando si parla di piccoli imprenditori si parla sempre e comunque dei loro dipendenti: c'è tutta una letteratura da sfatare, perché certi conflitti sociali appartenevano solo alle grandi aziende. Nelle piccole era tutto molto diverso, storicamente.
Franchi: Può esistere un partito dei lavoratori, oggi? Perché non dovrebbe più essere comunista? E ancora: esiste un partito degli imprenditori, oggi?
Pennacchi: Non sono cazzi che mi riguardano più, questi. Io scrivo e racconto storie, i vostri impicci di partiti arrangiateveli tra di voi, affanculo tutti quanti. Ho preso troppe fregature, non ci capisco più niente. La sinistra prima doveva garantire il lavoro e difendere le fabbriche, piuttosto che inventarsi l'ecologismo e la chiusura delle fabbriche, e diventare fichetta. Adesso è tardi... Che senso ha che ai Parioli votino per la sinistra e in periferia votino per la Destra? È cambiato tutto, e non ci si capisce più niente.
Nesi: Partito dei Lavoratori... io credo che sarebbe interessante se coloro che sono in cerca di lavoro – inclusi quelli che hanno un lavoro precario, o flessibile, estraneo alla crescita sociale – si domandassero in prima battuta se questa è la società che vogliamo avere. Io non so se i partiti oggi sono in grado di rappresentare queste istanze, ma so che se la Lega cresce ovunque, anche a Prato, è perché i suoi dirigenti e i suoi militanti intercettano un problema vero, e così riescono a passare per chi difende questi cittadini. Questa è una debolezza fortissima di chi s'oppone alla Lega, non aver capito che è assurdo vantarsi della loro attenzione ai piccoli imprenditori quando in realtà quest'attenzione non esiste affatto...
BREVI NOTE
Antonio Pennacchi (Latina, 1950 - Latina, 2021) scrittore e operaio italiano. Ha pubblicato il gran romanzo "Il fasciocomunista" nel 2003.
Antonio Pennacchi, “Canale Mussolini”, Mondadori, Milano 2010. In appendice, fonti consultate.
Edoardo Nesi (Prato, 1964), scrittore, regista e traduttore (“Infinite Jest”). Ex imprenditore.
Edoardo Nesi, “Storia della mia gente”, Bompiani, Milano 2010. 156 pp, euro
Gianfranco Franchi.
Prima pubblicazione cartacea dell'articolo, con qualche variazione nell'introduzione: Il Secolo d'Italia, 30 maggio 2010, pagine 1, 3, 4, 5. A ruota, Lankelot.
Forse la mia intervista più spiazzante.