L’integrazione

L'integrazione Book Cover L'integrazione
Luciano Bianciardi
Bompiani
1960
9788876380303

“Il lavoro culturale”, “L'integrazione” e “La vita agra” si direbbe proprio siano un libro soltanto: l'oggetto delle riflessioni dell'artista, la condizione e lo stato dell'intellettuale, l'analisi del clima culturale dell'epoca, il racconto del passaggio dalla quieta vita della provincia toscana a quella frenetica, assurda e falsa della metropoli lombarda sono gli assi portanti. A mente fredda e a posteriori, il giudizio è facile e drastico: “La vita agra” è la massima espressione di un certo tipo di approccio culturale, di scrittura, finalmente spoglia dai giochi di specchi degli alter ego posticci, fraterni o meno che siano, e i primi due sono e rimangono lavori prodromici; poco più che esercizi di stile, condivisi fortunosamente dal pubblico. Lavori prodromici di onesta qualità, a dispetto della ripetitività; degno pane per i denti dei cultori dell'opera bianciardiana, non soltanto dei filologi e degli storici della letteratura. Naturalmente, dovessi consigliare a un neofita un libro di Bianciardi e uno soltanto, non avrei dubbi: “La vita agra”, gli direi, vai, prendi, studia, impara e un giorno cerca di migliorarlo. Solo e soltanto se ti appassioni – se riconosci sangue e intelligenza superiore in quel romanzo – torna indietro a rileggerti i suoi primi passi. Torna indietro consapevole che non c'è niente di simile, né di altrettanto bello, né di altrettanto grande.

“Apparsa tre anni dopo 'Il lavoro culturale', 'L'integrazione' fu prontamente interpretata come suo ideale proseguimento: analoghi sono infatti tema e impianto narrativo, identici i nomi dei due fratelli protagonisti; affine la misura breve (…). L'opera compone con più convinzione racconto lungo e saggio di costume, narrazione e didascalia” - scrivono i curatori, Papi e Coppola (p. 2054).

I momenti migliori di questo piccolo libro rimangono quelli delle battute – rapide, folgoranti, dal retrogusto aforistico – a proposito del progresso, del consumismo, dell'americanismo, della depressione. Osservando ad esempio la sua cittadina che s'ampliava e cresceva, “ci pareva, e lo dicemmo, che questo espandersi di strade e di case corrispondesse giorno per giorno a un ampliamento di visuali, di concezioni e di metodi. In una parola, che corrispondesse al progresso, e ne fosse un esempio: su scala ridotta, certo, ma preciso e palpabile” (p. 475). Si tratta del progresso di una giovane generazione cresciuta e sopravvissuta alla guerra, alla miseria e alla difficoltà di immaginare un concetto semplice e sacro come “domani”. Bianciardi dà prova di buona sensibilità realista, come sempre, raccontando frammenti di vita quotidiana – passeggiate, strusci, abitudini della piccola borghesia e del proletariato – che s'aprono come squarci su un passato che è romantico interiorizzare.

Consumismo: parlando dei ceti medi, qualcuno racconta: “Questi sono i ceti medi italiani, avviliti dal padrone, e insieme sollecitati a muoversi nella direzione che più fa comodo al padrone. Neanche i loro bisogni sono genuini: pensa la pubblicità a fabbricarglieli, giorno per giorno. Tu vorrai il frigorifero, dice la pubblicità, tu la macchina nuova, tu addirittura una faccia nuova. E loro vogliono quel che il padrone impone, e credono che questa sia la vita moderna, la felicità. Sgobbano, corrono come allucinati dalla mattina alla sera, per comprarsi quel che credono di desiderare; in realtà, quel che al padrone piace che si desideri” (p. 489). Battute talmente attuali che sembrano finte. Questione talmente vicina alla sensibilità di noi tutti, cinquant'anni dopo (e nel pieno di una recessione allora inimmaginabile), che sembrano battute di una retorica piana, scolorita. A suo tempo dovevano pesare come macigni.

Consumismo come americanismo? Niente affatto. “La civiltà americana moderna è come una grande macchina a gettone, tragica, che ti inghiotte, ma almeno qualcosa ne esce fuori. Qui invece tu non hai l'America, ma l'americanismo semmai; una copia cioè che riprende del modello solo gli aspetti negativi, senza darti nulla in cambio. Qui non c'è nemmeno tragedia” (p. 490). No: c'è depressione. Mascherata da “progresso”, scrive Bianciardi, e da “modernità”.

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Le ultime pagine del libro, complice l'epifania del “fratello” del narratore, uno che campa di scrittura prestandosi, con grande impegno e professionalità, a lavori spesso indecorosi, indegni e mal pagati – sostenendosi con la grappa, con le sigarette e via dicendo – sembrano proprio un alter incipit del gran romanzo che verrà. C'è scritto tutto, con grande chiarezza, del desiderio di combattere l'alienazione e la dipendenza dal padrone mettendosi in proprio; col rischio, chiaro e limpido, di perdere il contatto con la realtà e con l'alterità, con esiti, maledizione, autodistruttivi.

Ecco, direi che può bastare. Vi risparmio le tirate sul grottesco esperimento di approfondimento sociologico e politico infilate in mezzo al libro; non mi sembrano particolarmente riuscite, a differenza degli sketch sulla vita in provincia e dei bozzetti dell'intellettuale di provincia infilato nella grande azienda (e poi da quell'azienda uscito). Lavori in corso, potrebbe chiamarsi il dittico del “Lavoro culturale” e dell' “Integrazione”: questo dittico è l'officina minimal di un capolavoro autentico.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Luciano Bianciardi (Grosseto, 1922 – Milano, 1971), giornalista e scrittore italiano. Si laureò in Filosofia presso l’Università di Pisa, discutendo con Guido Calogero una tesi su John Dewey. Esordì pubblicando il libro-inchiesta “I minatori della Maremma” (in collaborazione con Carlo Cassola) nel 1956.

Luciano Bianciardi, “L'integrazione”, in “L'antimeridiano. Opere complete. Volume primo”, ISBN, Milano 2005.

Prima edizione: Bompiani, 1960. Oggi in Feltrinelli, 2014.

Approfondimento in rete: Wiki it

Gianfranco Franchi, luglio 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

“Il lavoro culturale”, “L’integrazione” e “La vita agra” si direbbe proprio siano un libro soltanto…