Vagabondaggio primaverile e altre prose

Vagabondaggio primaverile e altre prose Book Cover Vagabondaggio primaverile e altre prose
Antonio Delfini
Via del Vento
2007
9788862260008

Il letterato è un vagabondo che ruba. Un vagabondo che ruba alla natura e al signore, con ogni sguardo, un segreto dell'essenza del mondo. Il letterato è un viandante che ascolta. Un viandante che ascolta tutte le parole e tutti i profumi delle strade delle città, saccheggiandone i colori, e associandoli con impertinenza al suo passato. Il letterato è un cantastorie che bara. Un cantastorie che bara perché non ha vissuto niente, e pretende d'aver conosciuto tutto. Delfini è un grande letterato. Dimenticato. Ma adesso basta, vogliamo che diventi un letterato esemplare, e che sia interiorizzato.

Introduce il Professor Luigi Martellini, curatore di questa plaquette Via del Vento, pubblicata nel 2007 in 2000 esemplari: “Sono, quelli qui riproposti, sei degli undici petits poèms en prose tratti da 'Ritorno in città', pubblicato in autoedizione nel 1931 dalla Libreria Vincenzi di Modena, in seconda edizione nel 1933 da Guanda”. Ovvero, “prose che, nel manifesto da Delfini ideato per la promozione, definiva di 'autore ignoto', contemporanee quindi a 'Note di uno sconosciuto' e a 'Un romanzo d'amore' (di cui pochi sapevano l'esistenza)” (p. 27).

Si tratta, secondo il curatore, d'un biglietto da visita d'un artista ventiduenne, padre d'una prosa-poesia atipica nel nostro Novecento. Diamo uno sguardo a questo biglietto, allora. Nel primo racconto, “Le trombe della sera”, ci ritroviamo in una città perduta nella valle, nascosta da un mantello di nebbia, ridotta a un bagliore per chi la guarda dalla campagna. Delfini ci accompagna dentro le sue stradine taciturne, e poi sotto i portici d'una contrada, a respirare gli odori delle botteghe dei fornai e dei pasticceri. Nessuno sembra avere un volto. Nella strada più deserta di tutte, una che sembra un capriccio senza meta, il silenzio corre come per riscaldarsi. Altrove, c'è un giovane seduto a una scrivania, sommerso dai libri. Guarda fuori dal vetro e comincia a ricordare. Ricorda una ragazza che forse avrebbe potuto amare, infine si sente sperduto in tutta quella monotonia. Sa che lontano c'è il clamore della vita vera, e non la nostalgia del passato.

Il secondo racconto, “La passeggiata”, ha un incipit che mozza il fiato; fa pensare a Kerouac e al primo Baricco, soltanto è stato scritto trenta o sessant'anni prima. Suona così:

“Sono andato dove non so, dove non sono forse arrivato, dove mi è piaciuto andare, perché la gente se ne avesse a male”.

La gente, questa “regina degli spazzini scioperati”, lascia la via libera e pulita. E tutto a un tratto, il viandante ascolta un suono di chitarra e un canto di ubriachi. E sente “un odor di fiori di campo sotto la luna, perché era giorno e la fantasia correva con la sera, così come alla sera va via il sole che nascerà domani”. È tutto libero, facile, bianco: niente macchine, niente avvocati, niente presenza di stupidità. Soltanto poesia, quella del sublime vagabondaggio che chi ama Stirner e Hamsun sa ben riconoscere.

Nel terzo pezzo, “C'è una ragazza alla finestra”, siamo ancora in un sogno d'artista: in un sogno in cui ci ritroviamo in una città: una città dalle casette bianche, e c'è il mare che “tutti i giorni sospira ora lento ora grave, e certe volte diventa cattivo” (p. 8). La notte nessun rumore. Soltanto vento, e nubi, a pulire le strade dalle cose del giorno. A un tratto, l'allucinazione d'una ragazza (eterno femminino?) che sta tutta in queste sue “braccia nude che mi spiegavano il mutamento delle mie mani accarezzando il gatto”, che sembrano quelle che De Gregori cantava in “Giorno di pioggia”, quando voleva scrivere alla sua donna una “lunga poesia per le tue braccia”. E l'allucinazione domina e vince l'artista, e si tinge di realtà: e infine, lui, esiliato altrove, spaventato dal grido notturno delle civette, sa che nella città del suo sogno c'è una ragazza alla finestra.

Quarto, e già ci si dispiace che questo sogno stia finendo, è “L'osteria senz'avventori”. Un'osteria che fa paura, le tendine sempre abbassate fino alle undici, e al di là del vetro gli occhi “enormi, desolati, rossi quasi come il fuoco se non fosse un grigio che appare qua e là attorno alle pupille, si appiccicano al vetro e guardano”. Sembra che tutto stia crollando (fatiscenza onirica), a partire dall'insegna “vino”, che è come se sgocciolasse, nera. C'è un mistero che nessuno svela – e tuttavia esiste. Fumoso, lirico, delfinide.

“Fumi di una giornata di pioggia”, penultimo gioiello di questa plaquette, è un'altra elegia della solitudine, un'altra evasione letteraria dalla provincia, sognando “il respiro della campagna” o la “soffocazione della grande città”; poi arriva la poesia. Così, come una folgorazione.

“Ieri sono arrivate le prime rondini. Sono tornate al vecchio nido che ho sempre veduto. Le ho udite cinguettare piano piano seguendo il ritmo noioso di questa giornata. L'acciottolato smosso del cortile, lasciando sfogo alla terra, manda un odor di primavera impura, che fa pensare a un mazzetto di viole gualcite e pestate” (p. 18).

E poi via, ricordi, nostalgia – tanta, di tutto, dell'innocenza sgualcita, dell'infanzia sguaiata, degli estranei spariti – e infine un cane che abbaia, da qualche parte. Nessuno sa dove. Ultimo brano è quello eponimo. Il viandante torna a casa, “come sempre, senza aver fatto nulla nella giornata, che mi solchi la fronte e definisca di fronte a Dio e al mondo” (p. 25). Cosa sta cercando, Delfini? Malinconie e allegrezze: in una parola, sentimento. Quello puro, che sembra un colpo di cannone dato dal cuore al mondo, quello capace d'incrinare il tempo, d'innamorare Dio degli uomini. E della loro arte prima. La letteratura.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Antonio Delfini (Modena, 1908 – Modena, 1963), poeta e scrittore italiano.

Antonio Delfini, “Vagabondaggio primaverile e altre prose”, Via del Vento, Pistoia, 2007. A cura di Luigi Martellini.

Prima edizione: Qui appaiono sei degli undici piccoli poemi in prosa di “Ritorno in città” (autoproduzione, 1931; Guanda, 1933).

Approfondimento in rete: Ilde Menis segnala: ottima ed esaustiva la voce di Wikipedia qui / a completamento, una interessante disamina della poesia di Delfini ad opera di Francesco Mandrino, qui

Gianfranco Franchi, marzo 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Qui appaiono sei degli undici piccoli poemi in prosa di “Ritorno in città” (autoproduzione, 1931; Guanda, 1933).