Alet
2007
9788875200350
Sessant’anni dopo il folgorante esordio letterario di Ennio Flaiano, “Tempo di uccidere”, vede la luce una nuova allegoria dell’esperienza colonialista italiana: “Ali di sabbia” di Valerio Aiolli, narratore italiano classe 1961. È difficile assimilare, ma non comparare, le due opere: Flaiano trasfigurava la sua esperienza, virando dal particulare all’universale con una stupenda e drammatica metafora di quel che aveva vissuto; Aiolli appartiene a un’altra generazione, quella che ha testimoniato il progressivo oblio sui tempi dell’Impero, e scrivendo di Italo Balbo, delle condizioni dei soldati al fronte, delle cause dell’avvento del fascismo, non può altro che documentarsi e immaginare, congetturare e interpretare. L’interpretazione, mi sembra, è opportunamente equidistante; o almeno all’equilibro tende. La qualità della ricostruzione andrebbe vagliata da uno storico, e non da un letterato; mi limito quindi a tracciare questa emblematica continuità tra romanzieri di classe, autori di due delle poche testimonianze letterarie italiane su un periodo così accantonato. Al contempo, sollecito gli studiosi del fascismo e del Novecento a valutare la fedeltà della ricostruzione storica, e l’opportunità di salutare nell’opera un documento dalle valenze plurime. La mia impressione è che l’opera derivi da uno studio meticoloso delle fonti.
“Ali di sabbia”, strutturato alternando flashforward e flashback (la sequenza è: 1940 Libia, 1915 Italia, 1916-1939 Italia, 1940 Libia, 1911-1915 Libia, 1940 Libia, 1915 Libia, 1940 Libia), si sviluppa su due differenti binari, progressivamente convergenti: il primo è quello della vicenda dell’aviatore Italo Balbo, eroe della Prima Guerra Mondiale, Governatore della Libia, caduto a Tobruk nel 1940 probabilmente per via del fuoco amico; il secondo è quello d’un suo secondo, e romanzesco pilota, Settimio, nato da un aviatore caduto proprio in Libia, e da un amore proibito. Aiolli rivela progressivamente i destini incrociati del grande trasvolatore e del suo secondo, aviatore già miracolato, sopravvissuto a una caduta disastrosa da trecento metri, e figlio di chi sognava, per amore del volo, di scrivere una grande storia del volo.
Intanto leggiamo di eserciti male armati, privi – nel 1940 – di autoblindo, di pezzi anticarro; ci avventuriamo nella “biografia in terza persona” dell’ex Quadrumviro, già plurimedagliato al fronte, già repubblicano e massone, mazziniano convertito al fascismo; feroce oppositore dei bolscevichi (p. 18: “Che cos’è il bolscevismo? È disoccupazione, ozio, fame, furto, assassinio. Chi ama la propria casa, la propria famiglia, chi non vuole vedere i propri figli morire di fame, è nemico del bolscevismo. E D’Annunzio, a Fiume, è un magnifico suscitatore di energie sane e gagliarde”).
E tramite la storia del padre putativo di Settimio, l’eroico Balbo, entriamo nella storia del suo perduto padre, e della fidanzata che lo aspettava invano. E così assistiamo, da spettatori, agli eventi che trascinano l’Italia dalla Prima alla Seconda Guerra; agli scontri tra fascisti e socialisti, alla fondazione del Partito Comunista (Livorno), al clima di violenza tra le fazioni in lotta per assumere il potere. Toccante il racconto – allegorico – della fine della Grande Guerra: la fidanzata “vedova” del pilota, e madre di un figlioletto che non era suo, l’accompagna a guardare i festeggiamenti:
“Sua madre gli teneva forte la mano e lui guardava in cielo. Passavano aerei che gettavano manifestini colorati con parole di vittoria e in fondo a destra era scritto Diaz, generale dei generali, salvatore dell’Italia, e lui guardava gli aerei e quanto gli sarebbe piaciuto esserci su quegli aerei non riusciva a dirlo ma sua madre lo capì e ne fu contenta” (p. 38).
Aiolli narra un seducente e tragico spaccato di quell’epoca; e dell’entusiasmo degli italiani per il clima che si stava vivendo. Si percepisce, qua e là, memoria dell’orgoglio di essere italiani, della dignità riservata ai morti caduti per una patria che ora si componeva anche di Trieste e della Libia; la fidanzata vedova “pensava che chi era morto per quel nome, Italia, era morto per qualcosa di unico e di grande e si sentiva meno sola” (p. 43). Era innocenza, ma era anche fede. Diciamola tutta: da Lucia, come anche da parte dei cittadini, c’era riconoscenza: toccanti e emblematici, a questo proposito, i passi che riferiscono i discorsi di Balbo agli emigranti (cfr. p. 103: “Siate fieri di essere italiani – gridai – o gente nostra d’oltreoceano, e soprattutto voi, lavoratori dal braccio infrangibile e dal cuore semplice, perché rappresentate l’amore e l’orgoglio del Duce, voi che siete credenti e fecondi, voi che avete il genio e la pazienza dei costruttori di Roma (…) Mussolini ha chiuso il tempo delle umiliazioni, essere italiani è un titolo d’onore (…) l’Italia è l’esercito della civiltà in cammino per le vie del mondo”).
Discorsi, purtroppo, oggi talmente impensabili da suonare grotteschi. Il fallimento è stato bruciante, la delusione immensa. Essere italiani è quasi un disonore, da molto tempo. E non significa più niente di univoco.
Dell’amore di Lucia, che sognava di scrivere la storia del volo, rimangono delle lettere, che la donna leggerà soltanto quando suo figlio partirà per il fronte. Sono lettere che raccontano di trincee, delle prime bombe lanciate da un aereo (p. 67), del rapporto tra turchi e arabi (aborigeni); della condizione delle truppe, sempre prive di munizioni e di viveri; delle torture inflitte dai nemici (p. 69: atroce) e delle rappresaglie italiane. Delle truppe eritree italianizzate, quelle degli ascari (p. 74), di stregate città d’argilla, nel deserto. Di ritirate, e di assedi. Il pilota al fronte pensa soltanto a volare, anche quando la realtà si sgretola. Sembra morire volando. E volando muore il grande eroe dell’impero, quell’idolo dei cittadini, valoroso soldato e coraggioso pilota; massacrato forse dall’invidia di compatrioti, di quella patria che stava per morire.
La storia del volo dell’impero terminerà ingloriosamente. Quella della fortuna di questo romanzo ha appena avuto inizio.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Valerio Aiolli (Firenze, 1961), scrittore italiano. Ha esordito pubblicando la raccolta di racconti “Male ai piedi” (Cesati Editore, 1995) e il romanzo “Io e mio fratello” (e/o, 1999).
Valerio Aiolli, “Ali di sabbia”, Alet, Padova 2007.
Gianfranco Franchi, Settembre 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Sessant’anni dopo il folgorante esordio letterario di Ennio Flaiano, “Tempo di uccidere”, vede la luce una nuova allegoria dell’esperienza colonialista italiana…