I tre impostori

I tre impostori Book Cover I tre impostori
Arthur Machen
Fanucci
2004
9788834710037

piacevole sorpresa negli scaffali delle (principali) librerie italiane: Fanucci pubblica, a pochi mesi di distanza, due testi dell’incompreso e trascurato artista gallese Arthur Llewellyn Jones, alias Arthur Machen: apprezzato da Borges, considerato un modello da Lovecraft, misconosciuto per il pubblico italiano. Complice dell’oscurità, la sonnolenta editoria nostrana.

I lettori di Lankelot ricorderanno che, circa un anno e mezzo fa, m’ero interessato ai due libri pubblicati da Tranchida tra 1993 e 1998: avevo auspicato luce per l’opera omnia dell’autore, invitando un editore coraggioso ed estraneo all’avidità (è il caso di ribadirlo) ad assumersene la responsabilità. Ovviamente, da oscuro scribacchino della rete, non posso avere la pretesa d’essere stato (addirittura) letto o ascoltato: da lettore, mi sento oggi discretamente appagato. A questo “I tre impostori” (ristampato a distanza di ventisette anni), succederà “Il grande Dio Pan” (ex Mondadori, 1982).

Risponde, allora, questo libretto, alle aspettative del bibliofilo e insaziabile lettore lankelottiano? Onestamente, no: si tratta di una raccolta di racconti d’argomento gotico o fantastico, male assemblata dall’autore: reputarlo “romanzo” significa rispettare la sistemazione della prima edizione del libro (1895): s’individua, senza difficoltà, il segno d’un grossolano maquillage, giocato su una artefatta ciclicità e su deboli e frammentarie interpolazioni tra la fine d’una storia e l’altra, volte a suggerire l’esistenza d’un’idea originaria o d’una architettura pre-esistente all’opera. Uno scaltro editor dei giorni nostri avrebbe saputo correggere lacune e aporie con diversa personalità – lasciatemene illudere, vi prego. Serviva, in altre parole, un quarto impostore (o una diversa impostura).

Ciò detto: era necessario che Fanucci tornasse a pubblicare Machen: è artista degno di considerazione, studio e discussione, e non è tollerabile vederlo abbandonato – da lettore, sono pronto a rinunciare alla ripetitiva produzione seriale di gialli & noir & thriller di italiani contemporanei, se il premio è un libro malriuscito di uno scrittore dello scorso secolo, intelligente e – tendenzialmente – stravagante. Un Machen minore (endiadi?) vale una mezza generazione di cannibali. A occhio e croce.

Raccolta di racconti, allora: strutturata come romanzo. Preparatevi a incontrare, in questo nuovo, macheniano e eccentrico bosco letterario, implacabili Vergini di Norimberga, ossi di seppia dei sabba, fate, diavoli e sigilli misteriosi; reminiscenze atlantidee e irrefrenabili logorree d’un letterato che non scrive, ma vive di bohème, da spettatore affascinato dell’esistenza del prossimo. Proverete – parafrasando l’autore – quella soddisfazione bizzarra e un po’ esoterica che si avverte leggendo letteratura fantastica scritta con rispetto della lingua letteraria e delle tradizioni; e, se potete gareggiare con il prefatore David Trotter nella conoscenza della produzione stevensoniana, una notevole affinità (analogia e saccheggio) tra i due artisti. Solo un breve frammento tratto dall’introduzione, per chiarire cosa intendo per “gareggiare nella conoscenza” con Trotter: “Il debito verso Stevenson è profondo, e riconosciuto con completo candore. Machen fa proprio e adatta il formato di 'Il dinamitardo' (1885), la seconda raccolta di racconti nello stile di 'Le nuove mille e una notte' (opera apparsa nel 1882) (…)” (p. 8 e ss.).

I due personaggi principali del romanzo sono il letterato Dyson, aspirante (ma già è spirata, quell’ambizione) scrittore e Phillips, giovane borghese con studi di biologia e fisica alle spalle e un futuro da etnologo e paleontologo. Phillips crede nella “scientificità” della letteratura: Dyson, orgogliosamente distaccato dalla realtà, benestante e mantenuto da fortunate eredità, crede che la missione del letterato sia inventare una storia meravigliosa e raccontarla in modo meraviglioso (Marino, qualche secolo prima…). Dyson si guarda attorno, stupendosi di tutto e fantasticando su ogni cosa: cerca incanto, magia e irrazionalità. Phillips si difende, con cinismo e scetticismo, e si ritrova – suo malgrado – a subire la fascinazione dei febbrili racconti del suo eloquente amico, ottimo compagno di fumo.

Dyson accidentalmente scorge, durante uno dei suoi provvidenziali e opportuni vagabondaggi contemplativi, un tizio che fugge alla disperata, inseguito da un aggressore dall’intento – parrebbe – omicida. Il fuggitivo lancia un oggetto lucente in terra: Dyson non può farselo sfuggire. L’oggetto, dico: del pestaggio prossimo venturo se ne infischia. Si tratta di una moneta rarissima – un Tiberio d’oro, come gli rivelerà l’amico etnologo (esperto di numismatica, aggiungiamo a margine, divinando). Questo è il principio d’una serie di incontri con personaggi ossessivi e paranoidi come l’ex segretario e scrivano Wilkins, e di relative storie e vicende narrate in un clima torbido e – talvolta – allucinato.

Vi ruberà qualche ora di vita e qualche sorriso – levatevi lo sfizio (ampia tolleranza per chi sbadiglia, tra una boccata e l’altra di buon fumo e un discreto assaggio di letteratura fantastica: da veri intenditori).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Arthur Llewellyn Jones, alias Arthur Machen (Caerleon-on-Usk, Gwent, South Wales, 1863 – Amersham, Buckinghamshire, England, 1947) romanziere, saggista, traduttore e giornalista gallese. Esordì pubblicando, anonimo, un poemetto titolato “Eleusinia”. Il suo primo libro, il singolare “The Anatomy of Tobacco”, fu stampato a Londra nel 1884.

Arthur Machen, “I tre impostori”, Fanucci, Roma, 2004. Traduzione di Roberta Rambelli. Introduzione di David Trotter.

Gianfranco Franchi, 27 febbraio 2005.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Raccolta di racconti, allora: strutturata come romanzo.