Cani sciolti

Cani sciolti Book Cover Cani sciolti
Renzo Paris
Cattedrale
2008
9788895449142

“Ho scritto il romanzo a ridosso del '68. E' stato pubblicato infatti per la prima volta nel '73, quando la contestazione era entrata in crisi. Dico questo perché Cani Sciolti è un romanzo post-sessantottesco in tutti i sensi (…) volevo ritrovare a tutti i costi la capacità di ridire, per giunta in mezzo a gente che aveva tolto la parola agli scrittori, che li voleva militanti. Comunque, l'ho fatta sul serio la vita del cane sciolto. (…) I cani sciolti si proponevano, tra l'altro, di fare la rivoluzione. Non ci sono riusciti. Dunque, invece di essere dei rivoluzionari si sono dimostrati dei rivoltati” (Moravia intervista Paris, 1981; p. 113; 118)

Ufficiosa opera prima di Renzo Paris, l'atipico romanzo epistolare “Cani sciolti” poggia su quattro personaggi principali: A e B, Olga e Serena; emarginati, schiacciati tra piccola borghesia e proletariato, stando a Paris, “sono quattro aspetti di un solo personaggio” (stessa fonte, p. 114). E se dobbiamo dar retta a questo sentiero di lettura, allora ecco il passo ideale per addentrarci nella loro – a questo punto: nella sua – psicologia:  “A diciannove anni, dopo essere finito, come in un fumetto di cattivo gusto, tra le rotaie di un trenino locale che attraversa la periferia della città, mi sono detto che la vita avrebbe avuto il sopravvento. E mi sono sentito come una pianta che cresce per essere potata. Gli oggetti, le persone, gli avvenimenti, d'allora in poi possono essere ampiamenti analizzati e catalogati, come si può descrivere un funerale. Se la scrittura è ordine, io mi sto sublimando senza nemmeno accorgermene” (p. 87).

A e B, ex rivoluzionari diventati professori, alle spalle giorni interi vissuti a Roma, “come amanti”, amanti che non avevano avuto “il coraggio dell'amore”, adesso si scrivono lettere. Per confrontarsi sul senso della loro esperienza, delle loro scelte, della loro esistenza; della smarrita dedizione cieca all'ideologia, e della difficoltà di avere – amare, forse – una donna.

A è uno che si dispone sereno nella bara dei suoi giorni tutti uguali (p. 8); si sente “un topo di stiva” (p. 107), un uomo di gomma, “tondo e gonfio”, ballonzola nella vita senza accorgersene nemmeno. Sognava la lotta degli studenti contro i padroni dentro e fuori dell'università, non la lotta tra antifascismo e fascismo. La sua storia con Olga è in crisi: lei dice che lui non è più un compagno, perché non tira sassi sulle vetrine della Fiat. Lo accusa di vigliaccheria, di piccoloborghesismo politico. Lei si sente grande e ribelle. A muore di nostalgia. Passa il tempo a desiderare il suo ritorno – a sognare di essere, in un certo senso, nuovamente allineato a lei. E non sa più raccapezzarsi con sé stesso. Rifiuta tutto, progresso e regresso: vivacchia.

Non crede nella costruzione di un sindacato di classe, non crede “nell'uso di una scuola capitalistica” (p. 36). Vorrebbe scrivere le “Bagatelle” di Céline sostituendo i borghesi agli ebrei; intanto, sua madre lo chiama a stare al suo fianco, e cioè nella piccola borghesia. Infine, vagheggia il suicidio.

B medita sulla vecchia esperienza universitaria, vuole ricordare le cose avvenute quando la frequentavano; e vuole ricordare con maggiore intensità rispetto ad A. Intanto, corteggia come può Serena: la vagheggia, la desidera, ma lei si lascia avvicinare per poi spezzare l'incanto con la sua coscienza politica femminista; o con la sua femminina ritrosia a darsi a chi troppo idealizza. B si fa umiliare, gioca a fare il cane da caccia per sedurla; la porta in groppa, come una bestia da soma, diventa lo zimbello delle sue amiche. Serena si diverte ascoltandolo parlare dei suoi sentimenti, cerca di disorientarlo. A nulla sembra valere che sfugga per un attimo, sfogandosi con un'altra. Perché nonostante sia la figlia del padrone di casa, nonostante sia epilettica, nonostante non si conceda mai, lei è l'incarnazione dell'utopia. L'utopia non si possiede, si vellica soltanto.

Una volta aveva provato a conquistare anche Olga. Poi lei aveva scelto A. Forse, l'ideale sarebbe stato se si fossero amati tutti e tre. Troppo tardi, in ogni caso.

C'è un quinto personaggio, sullo sfondo. Noè. Nell'intervista rilasciata ad Andrea Di Consoli, Paris scrive: “Noè è lo sberleffo ironico della storia, colui che ha vissuto, senza crederci, le guerre e le rivoluzioni. Quello che spero di diventare io, un giorno” (p. 120). E' uno che sta “immobile e antico” e tutto osserva: sempre intriso di un suo popolano buon senso, parla del dopoguerra come fosse accaduto milioni di anni prima e ogni tanto combina qualche scherzo, e si sganascia. Accetta che il presente sia dirottato altrove, rispetto alla sua gioventù e ai suoi sogni; forse ha capito che piangere e lamentarsi non ha proprio senso, svuota soltanto.

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L'ambientazione, secondo Moravia, presenta “la novità della rabbia sessantottesca inserita nel quadro tradizionale del paese meridionale” (p. 116). Sulla falsariga di questa intuizione, evidenziamo la presenza di passi di chiaro valore documentaristico e storico, come questo:

“Ho chiesto a una famiglia di operai del paese che lavorano in Germania se sono contenti del loro salario. Non è nemmeno necessario che ti scriva la risposta. Raggiavano di gioia. Hanno la casa con il termosifone mentre al paese non sapevano nemmeno cos'era, hanno la macchina e qui fino a qualche anno fa andavano sull'asino, vivono una vita moderna mentre qui i loro vecchi la vivono ancora all'antica. I padroni sono buoni, aumentano lo stipendio senza costringerli a scioperare” (p. 62).

O come questo:

“Se penso al tempo cittadino, agli orari, agli autobus e alle macchine che ci facevano ritardare di ore agli appuntamenti, anche alle dimostrazioni, mi metto a ridere. Basta uscire dalla città per ritrovarsi in un tempo diverso; completamente, irrimediabilmente diverso. E noi sappiamo che solo di questi paesi è fatta l'Italia, che le città sono poche. Un'immensa periferia attorno a un centro industriale dove risiede tutto il potere” (p. 69).

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Il tono di questa opera prima, secondo Moravia, è “omogeneo e uniforme, come di discorso confidenziale e casuale (…) più nevrotico che ideologico” (p. 115); o forse – a dirla tutta – è l'espressione delle nevrosi degli ideologizzati, della nevrosi e delle nevrosi che subentravano appena si tornava a mettere a fuoco la realtà, per quel che era: o per quel che era diventata.

I cani sciolti di Paris sono davvero dei rivoltati, e non dei rivoluzionari; schegge non impazzite, ma intorpidite e annientate, sconfitte dall'esistenza, dall'incapacità di plasmare la società e la politica secondo ideologia, e secondo lotta di classe. L'opera – eccezionalmente autocritica dell'intero movimento studentesco d'antan – mostrava e conferma, trentasei anni dopo, una spiazzante consapevolezza dell'impotenza e dell'almeno parziale fallimento delle istanze dei nostri ribelli padri. Non senza orgoglio per aver combattuto e sognato, non senza amarezza per non essere andati fino in fondo.

Abbiamo noi, generazione dei figli dei cani sciolti, combattuto e sognato una rivoluzione politica? Abbiamo forse il diritto di giudicare chi ha vissuto una vita e un contesto tanto diverso? Abbiamo forse la facoltà di chiamare “fallimentare” un'impresa, e un'epoca, che pure tante libertà ha contribuito a concederci e garantirci? Probabilmente no: e in ogni caso, sarebbe ingeneroso. Consolante, invece, leggere l'elegia della nevrosi degli sconfitti. Non ripara le loro sofferenze, le cristallizza: perché possano, sopravvivendo, insegnarci a sopportare. Sopportare il male, l'anomia, la fine. Perché poi l'utopia si reincarna, tutto a un tratto, e si può tornare a credere in una collettività consapevole, unita e assolutamente rivoluzionaria. Né rossa, né nera.

Letteraria.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Renzo Paris (Celano, 1944), romanziere, poeta, saggista e traduttore italiano. Professore di Letteratura Francese all’Università di Viterbo.

Renzo Paris, “Cani sciolti”, Cattedrale, Ancona 2008.
In appendice: Moravia intervista Paris (1981); Di Consoli intervista Paris (2008). Questa è la quinta edizione del romanzo.

Prima edizione: “Cani sciolti”, Guaraldi, 1973. La prima stesura risale al 1970 (cfr. intervista di Di Consoli, p. 119).

Gianfranco Franchi, marzo 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Nuova edizione di uno dei primissimi libri di Renzo Paris, il famigerato “Cani Sciolti”…