Le labrene

Le labrene Book Cover Le labrene
Tommaso Landolfi
Rizzoli
1974
9788845916342

Tra il terzo e ultimo diario di Landolfi, “Des mois”, e questa raccolta di racconti passano sette anni; periodo segnato dalla pubblicazione di versi (segnalo, a beneficio dei pochi appassionati landolfiani, “Viola di morte” del 1972) racconti per bambini, filastrocche, raccolte di articoli già apparsi sul “Corriere della Sera”, l’ottimo volume di recensioni “Gogol a Roma”, un Faust per il teatro (a proposito del quale non ho trovato traccia – episodica – diversa dal nome).

Ecco quindi questa raccolta di sette racconti: prima grande novità rispetto alle precedenti antologie è il ruolo da protagonista – meglio sarebbe dire: antagonista – d’una figura letteraria (e non solo) che dovremmo semplicemente chiamare “moglie”. Seconda innovazione, la prepotente (e probabilmente funzionale, in chiave biografica) apparizione della (letteraria) categoria del “doppio”. Il fantastico – meglio: la trasfigurazione fantastica della propria biografia o di determinati eventi o sentimenti – via via tende a sfumare e a dissolversi. Rivelando, probabilmente, che la prima fonte d’ispirazione di Landolfi era la satira. D’ogni cosa, eccetto che di se stesso, a ben guardare. È comprensibile, naturalmente.

Allora – già che ci siamo – è bene ammonire chi intende accostarsi alle opere dello scrittore di Pico Farnese da neofita o giù di lì, magari per sentito dire, o forse per suggestioni meravigliose o fama d’atipicità e di ottocentismo: tornate indietro e guardate con interesse ai primi diciott’anni di produzione, diciamo dal 1937 alla metà degli anni Cinquanta, per innamorarvi di quella scrittura e di quelle narrazioni che meritano si versino fiumi d’accademico inchiostro per diverse generazioni.

In questo caso, onestamente, c’è da salutare positivamente la fluidità della narrazione, la densità e la ricercatezza del lessico – a proposito, non manca almeno un (apparente?) neologismo: la forma verbale “amonesta”, che non ho altrove riscontrato – e la capacità di catturare il lettore. Le trame sono deboli, fiacche e poco suggestive, con l’eccezione di quella del racconto eponimo. A partire dalla geco-fobia dell’artista – le “labrene” sono proprio i gechi – si va imbastendo un grottesco scenario di morte presunta dopo un fortuito contatto diretto con una di queste creaturine; il narratore non respira più e viene giudicato morto. Ascolta, creduto da tutti ormai defunto, il cugino che cerca – e quasi vi riesce – di sedurre la moglie; viene addirittura quasi sepolto, svicolando con un grido che interrompe la cerimonia e impedisce la tumulazione. E subito dopo è indagine sull’ossessione del tradimento, sino all’epilogo in cui l’ossessione per i gechi si sintetizza: la labrena (o la moglie?) lo fissa con uno sguardo in cui si sintetizza “tutto il male, tutto il dolore del mondo”.

Curioso come l’autore abbia parlato, già nelle prime battute, di “repulsione”, “nausea” e “disgusto” per questi invasori delle abitazioni; naturalmente l’ossessione derivava da una mania materna. La descrizione della creatura è, al solito, puntigliosa e ampiamente letteraria (p. 9): “Sorta di coccodrillo in miniatura che frequenta e percorre serpeggiando le vecchie muraglie, penetrando al caso fin nelle stanze d’abitazione, ove, come dappertutto, guata e sorprende insetti vari e segnatamente farfalle” – al termine della descrizione, viene da recriminare pensando al talento sprecato, tutto qui, per parlare di così poco; nemmeno il simbolismo che ho cercato di tradurvi è sufficiente per una lettura diversa da quella biografica/psicanalitica.

Curioso che finalmente – dopo tanti libri – si parli di penetrazione. Finalmente un personaggio di Landolfi penetra! Ma attenzione: “ho penetrato i tuoi disegni, la parte da te avuta nel mio orribile male, le tue attuali intenzioni, i tuoi colpevoli sentimenti per un altro uomo, insomma tutto” – e certo. Tutto.

Sia chiaro che s’allude alla paranoia che sia stata la moglie a insinuare le labrene in camera. Questo l’orribile disegno penetrato. Il “doppio”, in questo caso, è il passaggio da “vivo” a “morto” (in vita).

In “Encarte”, due gemelli si scambiano ruolo; l’uno – più forte – sostituisce l’altro nel letto (è impotente) e in ufficio (è un mediocre); l’altro dà manforte tra banca e latrocini, sino al drammatico epilogo (protagonisti: le mogli) che non svelo. Lascio soltanto la (neutra) clausola a spiegare certe dinamiche delle riflessioni sull’identità: “Nessuna di voi due è chi è. Ovvero (che torna al medesimo) tutti noi, col rimanente dell’umanità passata, presente e futura, siamo la stessa persona”.

Ancora protagonista la moglie in “Perbellione” (riflessione folle e amara sull’incapacità di domare le proprie compagne; nemmeno la violenza sembra bastare, come avviene con negri e cani, dice il narratore) e in “Uxoricidio”, dove le pesanti critiche (la moglie viene equiparata a una governante) alla compagna cardiopatica l’accompagnano alla morte; dopo quella morte, il narratore non sa più che fare.

A chiudere la serie in bellezza, “Pellegrinaggio” – il narratore va da una vecchia amante, pretende un cunnilingus, ritrova l’amore perduto e la pace dei sensi; mentre ne “Il crittogramma” un giovane aristocratico va da un vecchio professore, esperto di crittogrammi, per decifrare una scritta che nasconderebbe un tesoro; la sua curiosità deriva dal desiderio di avere dell’oro per sedurre una donna sposata e ritrosa a concedersi. La morale è trista.

L’ultimo racconto – un regolamento di conti con un critico responsabile d’aver scritto che un autore che pubblicava con Vallecchi adottava parole inesistenti – risulta onestamente poco interessante ad un lettore diverso da un biografo di Landolfi.

Libello misogino e sicuramente minore, nel contesto della produzione landolfiana, “Le labrene” non conquisterà l’immortalità né vincerà il tempo; il miglior Landolfi narratore è decisamente altrove, perduto tra i venti e i trent’anni prima di tutto questo. Consigliato a chi va in cerca della decadenza d’un artista dalla passata, grande ispirazione; o a chi vuole investigare come – nell’opera d’un autore – si possa passare dal voyeurismo al disprezzo dell’oggetto del desiderio. La donna amata.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Tommaso Landolfi (Pico Farnese, Frosinone 1908 – Roma, 1979), scrittore, critico, saggista e traduttore italiano. Si laureò in Lingua e Letteratura Russa nel 1932, con una tesi su Anna Achmatova. Tradusse – tra gli altri – Novalis, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Lermontov, Puskin.

Tommaso Landolfi, “Le labrene”, Rizzoli, Milano, 1974.

Prima edizione: Rizzoli, Milano, 1974. Quindi: Adelphi, Milano, 1994.

L’opera omnia di Landolfi è attualmente in via di pubblicazione nelle edizioni Adelphi.

Approfondimento in rete: Centro Studi Landolfiani / Wikipedia

Gianfranco Franchi, aprile 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Consigliato a chi va in cerca della decadenza d’un artista dalla passata, grande ispirazione…