Adelphi
2008
9788845922502
Giappone, primissimi anni Ottanta. Un grande letterato vicentino vive un'esperienza esistenziale e culturale incredibile, che sintetizzerà nelle pagine d'un reportage apparso a puntate sul «Corriere della Sera», quindi in volume per Mondadori nel 1982, infine in elegante, sobria e minimalista edizione Adelphi, 2008. Goffredo Parise è un viaggiatore umanissimo, ultrasensibile, pieno di premure e di comprensione per la diversità del popolo ospite. I suoi rilievi sulla vita, sulla letteratura, sulla visione di Dio e della natura, sull'educazione e sulla filosofia nipponica sono semplicemente lirici, e partecipati. Tanto lirici e partecipati che perfino un sedentario come chi scrive, convinto della grande verità della battuta gaddiana "Non mi muovo", sente uno strano impulso a prendere e partire per Tokyo; e da lì chissà, da lì in avanti fantasia, mistero, scoperta.
"L'eleganza è frigida" può e deve avere, a distanza di quasi trent'anni dalla prima pubblicazione, un pubblico trasversale. In prima battuta, naturalmente, deve andare a emozionare e stuzzicare gli amanti del Giappone, invitandoli a confutare i loro giudizi e le loro convinzioni con quelle dell'artista vicentino; in seconda battuta, deve conquistare e sedurre tutti gli appassionati di letteratura di viaggio, mostrando loro cosa significhi incontrare con umiltà e maturità un popolo straniero; in terza e ultima battuta, non può che piacere agli innamorati delle belle lettere. Perché lo stile di Parise è una lezione, semplicemente: una grande lezione di letteratura italiana. Ricercato, ma mai artefatto; equilibrato, ma mai ordinario; intenso, ma mai accecante. Inutile dire che certe sfumature, in traduzione, andrebbero probabilmente perdute. Dovremmo essere orgogliosi di avere avuto un compatriota capace di una scrittura del genere.
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Protagonista di questo diario di viaggio, raccontato come un romanzo, è Marco, alter ego dell'artista. Parte con un grande senso di stanchezza per l'Italia, e per le cose italiane: il nostro è il Paese della Politica, "sconvolto per millenni da furti, ricatti e assassinii" (p. 11), e sembra estraneo alla grazia, alla dolcezza e all'educazione, alla correttezza, al patriottismo e al perfezionismo, che incontrerà in Giappone. La prima notte racconta di dormire un sonno "al tempo stesso felice e lontano, simile a quelli delle convalescenze o della salvezza".
È la convalescenza d'un artista di poco più di cinquant'anni, ferito dai contrasti e dalle contraddizioni della nostra nazione. È la convalescenza d'un uomo stupefatto da quel che ci racconta: un popolo lontano da tutti quei paesi occidentali che credono nella materia e non nello spirito.
Per prima cosa, come tutti quelli che hanno dovuto patire la vita metropolitana, osserva il traffico per le strade. Traffico? Sembra quasi che non esistano gli incidenti; le macchine sono tutte luccicanti, tenute come un fiore; ma soprattutto, "la fretta non congestionava nessuna faccia, né la furia omicida appariva mai in quei volti" (p. 15). Addirittura i tassisti indossano guanti bianchi. Sembra una favola.
Quindi, osserva le persone. "Ciò che colpì Marco sopra ogni cosa erano la gentilezza delle persone e l'inalterabilità del loro volto che lasciava trasparire tuttavia l'emozione soltanto dagli occhi. 'Tutti gli occhi degli esseri umani traspaiono qualche cosa' si disse 'ma gli occhi dei giapponesi, che ho davanti ai miei, pure non facendo trasparire nulla, fanno sentire molte cose che si potrebbero riassumere in un solo sentimento: la timidezza infantile" (p. 18). Bellissimo.
I lavoratori – tutti – mostrano dedizione e precisione, come fossero vecchi artigiani; hanno un sentimento amorevole nei confronti della loro professione, perché sanno che quel lavoro partecipa alla grande causa e al grande ideale della loro nazione, e della loro comunità. Una nazione mai sconfitta sino alla Seconda Guerra Mondiale, maestra di civiltà e di cultura.
La cucina cinese sembra grossolana rispetto a quella giapponese: e Marco pensa che il Giappone sia, in un certo senso, una "derivazione della Cina, ma una derivazione estremamente perfezionata e portata ai più alti gradi termici dell'estetismo" (p. 22). Estetismo e perfezionismo vanno di pari passo: questo è uno dei segreti della grandezza del popolo nipponico, al contempo di massa e d'élite. L'altro segreto è la moralità. Una moralità profonda, altissima. Quanta differenza con la nostra povera Italia:
"Il Paese della Politica è il Paese della Politica e dell'affermazione individuale e non quello dell'orgoglio nazionale. Ma il Paese della Politica, si sa, tanto è geniale, più di ogni altro geniale nella politica, cioè nella mediazione, la trattazione, lo scambio delle merci, tanto è ignorante e sordo nella Morale di cui però si riempie la bocca" (p. 35).
Marco-Parise racconta che il senso della Nazione è così grande da includere, riconoscere e difendere anche chi ha sbagliato nel nome della patria. Per noi italiani la storia che sto per riferire riapre vecchie ferite. Ma è da meditazione:
"Gli dissero inoltre che lo spirito del signor Tojo, ultimo capo del governo durante la guerra, il cui corpo era stato impiccato da un tribunale per crimini di guerra simile a Norimberga, era stato proprio in quegli ultimi mesi trasportato nel tempio degli eroi di guerra per ordine del governo. Questo aveva sollevato qualche polemica perché, stando alla lettera, il signor Tojo era stato giudicato e impiccato come criminale e non come eroe, ma alla fine fu tagliata la testa al toro e stabilito che, come che fosse avvenuta la sua morte, egli era comunque morto per la Patria. Marco pensò subito che era come se lo spirito di Benito Mussolini fosse stato trasportato al monumento dei caduti in Campidoglio e la cosa gli parve naturale" (p. 63).
Riuscite a immaginarvelo? Da queste parti probabilmente non accadrà mai; in Giappone è stato naturale riconoscere che una era la patria di tutto il popolo, una la sorte di tutto il popolo, quali che fossero le convinzioni politiche, quale che fosse la condotta, quali che fossero le responsabilità. Un giapponese non può che appartenere al suo popolo, e combattere per quella che crede sia la salvezza del suo popolo. Io dico che questa è vera aristocrazia spirituale. Io dico che questa è onestà. Io dico che questa è semplicità, e umanità. Punto.
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Veniamo agli omaggi letterari. Voglio proporne soltanto tre, valgano come invito alla lettura e come antipasto di quel che incontrerete. Mishima: Marco si ferma a guardare il palazzo del ministero della difesa, dietro un lungo muro grigio, dove Mishima aveva commesso harakiri. "Essendo nato e cresciuto nel Paese della Politica Marco giudicava pazzo colui che si era suicidato in quel modo, e proprio entro il ministero della difesa, per protestare contro il governo, l'amico Chigusa gli disse invece che la sua memoria era molto rispettata in Giappone perché mostrava comunque un'azione di massimo onore nei confronti del proprio paese" (p. 25).
Kawabata: post incontro con la moglie. "Lo spirito di Kawabata e il rumore notturno e funebre delle sue onde stava altrove, in quei libri che certamente non in Giappone ma negli altri Paesi erano già stati sostituiti negli scaffali delle librerie grandi o piccole da altri, di ex politici che scrivevano i loro ricordi o di romanzieri improvvisati dalla smania sociale" (p. 98).
L'erotismo giapponese – quello autentico – si nasconde nelle pagine dei letterati: "nelle opere di Junichiro Tanizaki e di Yasunari Kawabata. Proprio in quei giorni Marco, ogni sera, leggeva qualche pagine della "Casa delle belle addormentate"" (p. 91). I suoi giudizi in merito appaiono poco più avanti. Non vi anticipo niente.
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Veniamo, infine, a rivelare il mistero del titolo. "Il grande poeta giapponese Saito Ryokuu aveva detto che 'l'eleganza è frigida' e mai in così grande brevità a Marco pareva riassunto tutto il Giappone. In quel senso gli abitanti di quel Paese si mostravano appartenenti quasi ad un'altra specie forse ovipara, perché nulla mai introduceva Marco a un tale genere di pensieri, così diffusi in Occidente non si sa perché. Molta letteratura, pittura e perfino cinema giapponese si prestavano al gioco della sessualità ma c'era in giro e nell'aria troppa forma ed eleganza, dunque artificio, perché la sessualità e la sensualità prendessero molto spazio" (p. 76).
Ecco, ho scritto qualcosa, non tutto quello che avrei voluto. Non ho parlato delle pagine dedicate ai templi, al sumo, all'arte dei cantanti di Gagaku, all'arte del maestro Moriguchi. Per questo – consolatevi – c'è la quarta di copertina Adelphi, capace di una favolosa neutralità.
Posso solo aggiungere che stamattina, per molte ore, sono rimasto incantato. E che ho amato una terra e un popolo che non ho conosciuto mai, se non per le opere d'arte; e questo non capita tutti i giorni, e non capita in tutti i libri di viaggio. È un evento.
"L'eleganza è frigida" è una lettura straconsigliata. A tutti.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Goffredo Parise (Vicenza, 1929 – Treviso, 1986), scrittore, sceneggiatore e giornalista italiano.
Goffredo Parise, “L'eleganza è frigida”, Adelphi, Milano 2008.
Prima edizione: Mondadori, 1982. In precedenza, Corriere della Sera (gennaio 1981-febbraio 1982)
Approfondimento in rete: WIKI it / Casa di Cultura Goffredo Parise
Gianfranco Franchi, gennaio 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Reportage apparso a puntate sul «Corriere della Sera», quindi in volume per Mondadori nel 1982, infine in elegante, sobria e minimalista edizione Adelphi, 2008…