Adelphi
1995
9788845911538
DRAMMA UMANO. “Opera di un virtuoso del fallimento, l'uomo è stato senza dubbio un fiasco, però un fiasco magistrale. È straordinario perfino nella sua mediocrità, prestigioso anche quando lo si aborra. Tuttavia, a mano a mano che si riflette su di lui, si capisce che il Creatore si sia 'afflitto in cuor suo' di averlo creato” (p. 24). Da un frammento come questo si riconosce un artista soltanto: l'artista filosofo che amava disintegrare tutto quel che esisteva, sgretolare tutti i templi e tutti i significati, disperato per l'assenza di senso, e per l'insensatezza della volontà. Cioran viveva in un baratro di angoscia e di disperazione e credeva, per fortuna nostra, di noi lettori, fosse il baratro di ogni essere umano: scrivendo del male e delle sofferenze e delle aporie della nostra specie, voleva forse invitarci a seguirlo nella coscienza lucida del niente – del niente che è tutto. È l'eremita che profetizza un'inevitabile apocalisse: quella della felicità. È l'apolide che fa coincidere il suo sradicamento dalle origini con quello di tutti gli uomini. È il pensatore che non piange la morte delle ideologie, perché sa quanto pericolo e quanto male si vada annidando nelle idee. È tremendo, e incredibilmente (involontariamente, sospetto) divertente. Dico sul serio. Leggerlo è come sfogliare il diario di Morticia Adams.
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Nove saggi di E.M. Cioran, originariamente pubblicati da Gallimard nel 1964 (“La chute dans le temps”), pubblicati in IT da Adelphi nel 1995, nella traduzione di Tea Turolla. Lo sguardo dell'artista è sempre trasversale e “obliquo”; manca un argomento unico di riferimento. È più comodo, per il franco tiratore, mostrarsi imprevedibile. La sensazione è di avere di fronte, come spesso accade con il filosofo franco-rumeno, un quaderno di scritti d'argomento filosofico, distesi con eleganza narrativa e assemblati senza un criterio specifico, senza raziocinio. Il mio preferito, in ogni caso, è “L'albero della vita”, laddove Cioran ribadisce che l'uomo non deve pensare ogni istante alla sua specie: perché “Finché ci si limita a torturare il proprio io, si può sempre pensare che si ceda a un capriccio; ma quando tutti gli io diventano il centro di una rimuginazione senza fine, indirettamente si ritrovano generalizzati gli inconvenienti della propria condizione” (p. 11).
L'uomo ha scelto l'albero della conoscenza, non l'albero della vita: Cioran è convinto che in ogni caso non siamo decaduti da un'innocenza completa, perché in noi già viveva un “male ancora indistinto” che poi avrebbe saputo prevalere, dominandoci per sempre. Potevamo scegliere entrambi gli alberi, allora tutto sarebbe cambiato, perché avremmo potuto sfidare Dio sul suo stesso campo. E adesso, invece, siamo l'unica creatura vivente che soffoca in Dio. L'uomo sogna di soggiogare la morte, invano: “è un disadattato esausto e tuttavia infaticabile, senza radici, conquistatore proprio perché sradicato; un nomade insieme folgorato e indomito, che anela a rimediare alle proprie deficienze e, di fronte al fallimento, violenta ogni cosa intorno a sé” (p. 15).
Dio è colui che è, l'uomo “colui che non è”. E la coscienza di questa sua mancanza, scrive EMC, risveglia la sua tracotanza. L'uomo ha “disertato le sue origini”, “barattato l'eternità con il divenire”: è il grande “transfuga dell'essere” (p. 18). Come se non bastasse, da quando ha compreso che la morte è un termine assoluto, scrive. E finisce per idolatrare il successo e asservirsi al pubblico: pubblico che coincide con il “flagello del secolo”, in quanto “versione immonda della Fatalità” (“Desiderio e orrore della gloria”, p. 78).
L'unico uomo inservibile per eccellenza è lo scettico. Perché non si attacca, non si fissa a niente: “la rottura tra lui e il mondo si rivela in ogni circostanza e a ogni problema che è costretto ad affrontare. È stato tacciato di dilettantismo perché minimizza tutto: in realtà, non minimizza nulla, semplicemente rimette le cose al loro posto. Sia i piaceri sia i dolori derivano dall'importanza indebita che attribuiamo alle nostre esperienze” (“E' scettico il demonio?”, p. 63).
L'uomo è inadatto a vivere, e per questo “finge la vita”: rapito da tutto ciò che ignora, “ricerca e teme, davanti all'istante che attende, in cui spera di esistere e in cui invece esisterà altrettanto poco che nell'istante precedente” (p. 23). Il presente è stato spogliato dell'eternità, non ha senso idolatrare il domani. Non rimane che la volontà: “grande risorsa, grande castigo”.
Nel saggio eponimo, Cioran spiega che sono malattie sia la volontà che l'assenza di volontà. È dalla volontà che derivano tutte le disgrazie dell'uomo. Come superuomo non potrebbe che esplodere e crollare su se stesso, e solo così potrebbe “cadere dal tempo”, entrando nell'eternità (p.131). Così parlò Emil Michel.
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Conoscere a fondo qualcuno è una maledizione. Quindi, rifiutate sdegnosi di leggere l'opera omnia di Cioran. “La cosa migliore per il conosciuto è che scompaia. Non è tanto per reazione di difesa quanto per pudore, per desiderio di nascondere la loro irrealtà, che i vivi portano tutti una maschera. Strappargliela significa perderli e perdersi. Non è bello indugiare sotto l'Albero della Conoscenza. Vi è qualcosa di sacro in ogni essere che non sa di esistere, in ogni forma di vita indenne da coscienza. Colui che non ha mai invidiato il vegetale ha solo sfiorato il dramma umano” (p. 127).
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Congediamoci con un'ultima predica. Tenebrosa. "Coscienza non è lucidità. La lucidità, monopolio dell'uomo, rappresenta il punto d'arrivo del processo di rottura fra lo spirito e il mondo; è necessariamente coscienza della coscienza, e se noi ci distinguiamo dalle bestie, il merito o la colpa sono esclusivamente suoi" ("La caduta nel tempo", p. 89). Amen.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Emil Michel Cioran (Rasinari (Sibiu), Transilvania, Romania 1911 – Parigi, Francia 1995), filosofo e saggista rumeno. Esordì pubblicando “Al culmine della disperazione” nel 1934.
E.M. Cioran, “La caduta nel tempo”, Adelphi, Milano 1995. Traduzione di Tea Turolla. Prima edizione: “La chute dans le temps”, Gallimard, Paris 1964.
Approfondimento in rete: WIKI en
Gianfranco Franchi, febbraio 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Lo sguardo dell’artista è sempre trasversale e “obliquo”; manca un argomento unico di riferimento. È più comodo, per il franco tiratore, mostrarsi imprevedibile.