Atì Editore
2007
9788889456033
“Mi sento male. Un principio di congestione. Mi accartoccio sul divano con la bottiglia davanti a me. E il bicchiere ancora in mano. Ripenso alle parole del vicino: magari se lavorassi sarebbe meglio. Ma per vivere in questo buco non c'è bisogno di lavorare. Se uno inizia a lavorare poi pretende qualcosa di meglio. E poi ancora di meglio e vengono fuori un'infinità di problemi che prima non si avevano. Insomma alla fine preferisco starmene sul divano. A non fare niente. Anche con il mal di pancia” (Kraushaar, “Un'infinità di problemi”, tratto da “Tic”).
“Tic” (2005) di Emanuele Kraushaar, giornalista e scrittore romano classe 1977, è una raccolta di racconti-flash, massimo due cartelle. Sono paradossi, calembour, stravaganze o piccole boutade. “Tic” è come una raccolta di strisce di fumetti, come quelle dei vecchi quotidiani. Lo sguardo del narratore sembra quello d'un bambino, ha un'ingenuità limpida e tuttavia funzionale. Il tono, per questo, sa diventare fiabesco, e questo a dispetto della normalità, della prosaicità o della drammaticità degli argomenti: l'innocenza va spesso a tingerli d'una patina incantata. L'alter ego dell'autore, protagonista di buona parte dei racconti, ha trovate che non sarebbero dispiaciute a Schulz, come nel fantastico microcosmo della vicenda della signora stizzita nel Bar del Venti, in “Come si aspettasse qualcosa del genere”. In frangenti come “Ogni maledetta mattina” ecco che il narratore si trasforma in un buon satiro, capace di dare adeguati pizzicotti al bigottismo e al moralismo. Si diverte.
Kraushaar ogni tanto sembra carveriano, ma poi ti spiazza con qualche felice allucinazione da giovane Dalì: come in questo sintetico pezzo, “Gli occhi nella melanzana”. Suona così: “L'altra sera, che era la quinta volta in una settimana che litigavamo, sono tornato a casa e per la quinta volta in una settimana mi sono messo a cucinare per la mia cena. Mentre tagliavo una melanzana con un grosso coltello ho visto, con i miei occhi, due occhi dentro la melanzana che lacrimavano sangue”. Finisce tutto a un tratto, ma al momento giusto. E l'immagine ideata da Kraushaar rimane a fermentare in testa per un po'. Stesso discorso vale per il metamorfico, magnifico “Elefante”. Viene voglia di barrire, alla fine della storia. Allucinazione meno briosa in “Mezzo lepre”, ma insomma si direbbe che questa sia una direzione da battere con fiducia. Kraushaar ricorda che Esopo viene prima di Kafka. E sa benissimo che bisogna essere eredi dell'intelligenza e dello spirito di entrambi, per poter sperare di amalgamare qualcosa di peculiare e di evolutivo.
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L'ambientazione dei racconti, tendenzialmente, è Roma. Forse perché, come scrive il narratore in “Portami al mare”... “Mi muovo di rado da Roma. L'estate anche se fa caldo me la cavo, tra una granita al limone e una cedrata. E poi quest'anno ho comprato il condizionatore e lo metto sempre al massimo. Di solito mi alzo sul presto e faccio una passeggiata a Villa Pamphili, che non è lontana da casa mia. Poi mi guardo qualche programma alla televisione. E più sono stupidi e più tempo li sto a guardare”. In frangenti come questo, viene in mente il leggendario Andy Capp. S'è fatto capitolino, ma è più pigro ancora. Ciò non toglie che non manchino pagine di adeguata sensibilità nei confronti del dramma della perdita del lavoro, topos della nostra marcita italietta berlusconiana: il frammento “Solo dopo una settimana ci disse che era stato licenziato” riesce, con poche pennellate, a tratteggiare qualcosa di tanto triste e tanto credibile. Davvero indovinato: da antologia scolastica.
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I personaggi di Kraushaar rappresentano molto bene la stasi, la prevedibilità e la ripetitività delle nostre vite di tutti giorni. E sembrano riottosi ai cambiamenti profondi: tanto che spesso li confondono con le variazioni minime. Curioso, sembrano incapaci di riconoscere la differenza.
Ciò che innesca i racconti di EK è spesso lo smottamento minimo, l'alterazione appena percepibile delle dinamiche relazionali, l'evento piccolissimo. Come se ci si ritrovasse lucidi e presenti a sé stessi dopo essersi richiusi nel torpore d'un flusso di coscienza durato ore, o giorni interi: per una manciata di minuti al massimo. L'impatto è questo qui. È fiabesco, minimale e gentile, e rimane impresso.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Emanuele Kraushaar (Roma, 1977), giornalista e scrittore italiano, direttore della rivista “Metromorfosi”. Collabora con “Nazione Indiana”. Ha esordito con questa raccolta di racconti nel 2005.
Emanuele Kraushaar, “Tic”, Atì Editore, Milano 2005.
Gianfranco Franchi, novembre 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Esordio del singolarissimo Emanuele Kraushaar…