Elegante outsider delle patrie lettere, lo scrittore romano Filippo Tuena, sanguemisto svizzero-triestino, milanese d'adozione, considerato “uno degli scrittori fondamentali degli ultimi anni” da un giovane promettente come Andrea Tarabbia e “uno dei nostri scrittori più inquieti” dal principe della critica italiana, Andrea Cortellessa, è un artista fascinoso, complesso e spettrale. Dopo oltre vent'anni di pubblicazioni narrative, la sua produzione può essere suddivisa in tre parti e un'appendice sintetica.
C'è un Tuena ex storico dell'arte, ed ex antiquario: è un Tuena ossesso da Michelangelo, ispirato fondamentalmente dalla parte finale della sua vita. Queste tuenate comprendono il suo esordio da narratore, sotto gli auspici di Giuseppe Pontiggia, e cioè il giallo antiquario “Lo sguardo della paura” (Leonardo, 1991); la potente biografia mosaicale “Michelangelo. La grande ombra” (Fazi, 2001, 2008), il carteggio che costituisce il negativo di quel libro, cioè “La passione dell'error mio” (Fazi, 2002), il raro dramma “Notturno. Un preludio e sette scene per Giulio II e Michelangelo” (Fazi, 2003), un libretto apparso per Giunti-Art Dossier, “Michelangelo. Gli ultimi anni” (2006).
C'è poi il Tuena romanziere storico: quello del romanzo partigiano elvetico-romano “Tutti i sognatori” (Fazi, 1999), quello della drammatica saga borghese ebraica “Le variazioni Reinach” (Rizzoli, 2005), quello del viaggio nell'autodistruzione di Robert Scott e dei suoi compagni, antieroi dell'Antartide, cioè “Ultimo parallelo” (Rizzoli, 2007; Saggiatore, 2013), considerato un capolavoro dal critico rock Gian Paolo Serino, dal letterato toscano Vanni Santoni e da un buon numero di lettori forti.
Il terzo Tuena è il Tuena fantastico: quello del chimerico “Volo dell'occasione” (Longanesi, 1994; Fazi, 2004), osannato da Geno Pampaloni e considerato un “piccolo capolavoro” da Giovanni Pacchiano; quello del sulfureo, breve divertimento meneghino “Il diavolo a Milano” (Ikonos, 1996; Carte Scoperte, 2005) e del licantropico e meno riuscito “Cacciatori di notte” (Longanesi, 1997).
A latere, vanno considerate appendice sintetica della sua produzione le ultime due pubblicazioni: il buffo “Manualetto pratico a uso dello scrittore ignorante” (Mattioli1885, 2010), a metà strada tra un memoir sugli esordi, un manualetto di conforto ai manoscrittori e una satira sull'editoria, e l'irrisolto e polimorfico, recente “Stranieri alla terra” (Nutrimenti, 2012), sorta di raccolta di frammenti, romanzi mancati e racconti, caratterizzata dalla presenza di un nuovo tributo michelangiolesco, giusto in coda, da una spettrale epifania di Hemingway, da una singolare lettura della vicenda biografica del pittore Géricault, da un diaristico e scabro ritorno a Roma.
Cosa c'è stato di veramente grande, e cosa di profondamente caratterizzante, in questi ventidue anni di attività letteraria di Tuena? Cominciamo da ciò che è stato veramente grande, e in generale sarebbe santo che ogni letterato e ogni lettore forte tenesse sugli scaffali. Massimo risultato di Tuena narratore è il suo secondo romanzo, “Il volo dell'occasione”, un romanzo post-scapigliato e lynchiano, d'ambientazione parigina, una potente e romantica allegoria destinata a una fortuna cinematografica che curiosamente, ad oggi, non s'è materializzata. È qualcosa che poteva amare e ispirare sia François Truffaut che Charlie Kaufman: una spettrale meditazione sul tempo, sulle appartenenze, sul desiderio, sul fallimento. È qualcosa di cui Valerio Zurlini avrebbe voluto parlare con Dino Buzzati. È qualcosa che chi ha amato il primo Parise, quello del “Ragazzo morto e le comete” (1951; oggi Adelphi, 2006), o il Guido Piovene delle “Stelle fredde” (1970; oggi Mondadori, 2008), o il recente, bizzarro e romanissimo Simone Caltabellota del “Giardino elettrico” (Bompiani, 2010) non può lasciarsi sfuggire: è un libro che va a sedimentare nel vostro inconscio, infine.
Secondo, grande risultato di Tuena è “Michelangelo. La grande ombra”, singolare e documentatissima biografia romanzata del genio fiorentino; è un libro che accompagna il lettore nella perduta Roma di Macel de' Corvi, ambientato come sembra più nella povera, essenziale casa popolare di Michelangelo che altrove; è un tributo a una vita romanesca, e a una città di Roma che il conquistatore sabaudo e il distruttore fascista hanno finito per polverizzare, per costringere alla letteratura. È una fedele e convincente lettura dello spirito del tempo del Cinquecento: e va costruendo l'icona meravigliosa del vecchio maestro per una inattesa galleria di memorie, nostalgie e aneddoti michelangioleschi, narrati da segretari, vetturali, medici e capomastri, giovani allievi e domestici, dal grande sodale Vasari e dall'inconcludente e inadeguato nipote Leonardo Buonarroti, dal rabbioso e poliedrico Benvenuto Cellini e dal carismatico mecenate Cosimo de' Medici, Duca di Firenze, figlio di Giovanni dalle Bande Nere; dalla sua vezzosa musa Tommaso de' Cavalieri e dalla poetessa Vittoria Colonna.
Terzo, micidiale risultato della narrativa di Tuena è “Ultimo parallelo”. È l'epica di una sconfitta assurda, e annichilente: quella della spedizione di Scott in Antartide. Tecnicamente, è uno strano ibrido tra un'inchiesta romanzata, un diario pieno di foto e di appunti, un quaderno puntinato da omaggi alla grande letteratura del passato, da Omero e Dante a Tennyson e Browning, passando per il molto amato Shakespeare. È asimmetrico e irregolare, scomposto e tuttavia elegante – ha un'eleganza da cigno. È cupo, profondamente: e comunque infestante. La poetessa toscana Francesca Matteoni, su “Nazione Indiana”, ha scritto che con questo romanzo “Tuena ci restituisce il potere pieno della letteratura, che non è quello di raccontare delle storie, ma di usarle per comunicarci qualcosa di nostro, qualcosa che c’era già prima, ma non aveva un nome”. E se domandate ai vostri amici lettori forti cosa pensano sia più vicino al “libro della vita”, tra le loro letture degli ultimi dieci, quindici anni – se domandate ai vostri “happy few”, perché siamo veramente pochi – scoprirete che ce n'è almeno uno che vi dice, con lo sguardo perso nel vuoto e un moto di sincera ammirazione, “Ultimo parallelo”. L'insuccesso commerciale di entrambe le edizioni del libro è inspiegabile: è forse, semplicemente, la conferma della mortificante debolezza dell'intelligenza del nostro popolo.
Quarto, potente e terribile risultato di Tuena è il romanzo “Le variazioni Reinach”, caratterizzato esteticamente dall'adozione episodica, alla W.G. Sebald, di fotografie diegetiche, proprio come “Ultimo parallelo”. “Le variazioni Reinach” va considerata una delle pagine più drammatiche della letteratura superstite ai campi di sterminio, la letteratura concentrazionaria: quella che non dovrebbe conoscere bellezza, né ricercatezza, ma soltanto sentimento, e rigore. Un rigore assoluto. Al contempo, il romanzo di Tuena è una saga borghese, la saga di una grande famiglia ebraica che passa dall'aristocrazia europea all'annientamento, nella polvere di un campo nazista; infine, è una meditazione sul senso della scrittura, e della letteratura. Sergio Pent ha scritto che è un libro “essenziale e nobile”. È vero: è la storia di una caduta “così verticale e silenziosa e inaspettata” dal potere alla povertà, “dall'identità allo zero”, come scrive Tuena: ma sprigiona infine la musica della vita eterna dell'anima, restituendo giustizia all'umanità.
Veniamo adesso all'altra domanda: cosa c'è stato di profondamente caratterizzante, sin qua, nell'opera di Filippo Tuena? La risposta, forse un po' spiazzante, è questa: la presenza di uno straordinario numero di fantasmi, e di spettri; probabilmente la ragione per cui Cortellessa parla di un Tuena “scrittore inquietante” è questa. A un tratto, leggendo cronologicamente tutti i suoi libri, si ha la sensazione che nella maggior parte dei casi Tuena abbia deciso di ascoltare un fantasma, o di cercare la verità sulla sua storia, o di ammetterne, semplicemente, l'esistenza. Un fantasma dà vita al “Volo dell'occasione”, storia, a ben guardare, di un uomo che riconosce tre fantasmi e vorrebbe stare a vivere tra di loro, ma nonostante ogni sforzo non riesce ad andare al di là di un'interazione minima, e finisce per essere costretto a un voyeurismo sconfinato; un fantasma dà vita alle “Variazioni Reinach”, proprio nelle prime battute, e l'artista scrive, con angoscia, di “un passato che mi assale, che pretende d'essere ascoltato, che non vuole morire”, e altrove ribadisce “questo è un libro sulla nostalgia e sul conflitto con il passato che giace e che però fortemente desidera ritornare in vita”: insomma, sembra quasi che dall'epifania del fantasma si sia passati alla possessione. Ma non finisce qui. Un fantasma appare nelle ultime battute di “Tutti i sognatori”, romanzo resistenziale, probabilmente piuttosto autobiografico, storia romana d'una famiglia di antiquari svizzeri molto onesti e molto coraggiosi, e memoria triste dei massacri nazisti alle Fosse Ardeatine; l'apparizione di questo fantasma è consolatoria, e toccante. Non è tutto. Nelle prime pagine di “Ultimo parallelo” appare il fantasma più misterioso, fascinoso e letterario dell'opera di Tuena: è, nelle parole dell'artista, “l'inquietante figura dell'uomo in più – gliding wrapt in a brown mantle, hooded – colui che procede incappucciato avvolto in un mantello bruno”: un uomo ricordato dagli esploratori, sinistra presenza al loro fianco, quando la fatica della marcia si faceva intollerabile, e benedetto da versi di Eliot, nella “Waste Land” (“Who is the third who walks always beside you?”) una figura dalla natura arcana e dall'essenza indecifrabile, silenziosa ed estranea alla fatica, misura di tutte le fragilità: a un tratto ammette di essere, semplicemente, “l'uscita”. E poi, altrove, c'è un fantasma smemorato, quello di Hemingway, che parla nel primo racconto di “Stranieri alla terra”; infine, un fantasma amico, quello di Michelangelo, sembra non aver mai abbandonato l'artista, sin dal primo libro.
Cosa significa tutto questo? Tanto per cominciare, si dovrebbe dire che la vena fantastica non ha mai abbandonato lo scrittore capitolino, classe 1953, nonostante formalmente Tuena non abbia più scritto narrativa fantastica dopo il 1997; quindi, si dovrebbe mettere a fuoco, credo pacificamente, che la presenza di tutti questi fantasmi nella narrativa dell'artista padre del “Volo dell'occasione” dovrà prima o poi meritare una robusta lettura psicanalitica; infine, si potrebbe congetturare che Filippo Tuena, oltre a essere uno scrittore eccezionalmente sensibile, è probabilmente una sorta di sensitivo. Forse, uno di quei pochissimi uomini in grado di “sentire” la storia di una persona, o di una famiglia, tramite un oggetto personale; forse, uno di quei pochissimi uomini in grado di “ricordare”, tenendo in mano una lettera o toccando un quadro, tutta una serie di storie che non poteva conoscere. Forse, uno che non poteva fare, per questa sua straordinaria sensibilità, il lavoro del padre, e del nonno: cioè l'antiquario. Magari uno che, venendo a contatto con le lettere autografe di Michelangelo, ha avuto l'ispirazione per scrivere “Lo sguardo della paura” e poi “La grande ombra”, perché ha, come dire, “sentito qualcosa”; e trovandosi in possesso di un quadro, una cornice o una ceramica appartenuta alla famiglia Reinach s'è sentito scosso, e poi magari comprando o recuperando una foto di uno dei ragazzi della spedizione di Scott s'è sentito “chiamato a scriverne”. E così via. Sono solo congetture, si capisce: sta di fatto che a voler cercare un elemento caratterizzante, inequivocabilmente, la produzione artistica di Filippo Tuena, allora io credo non possa esserci altra risposta che questa: è la presenza dei fantasmi. Fantasmi tristissimi, disperatamente in cerca di ascolto, o di uno sguardo; di un senso, in ogni caso. Di una degna narrazione; forse, a ben guardare, d'un disseppellimento. E questo sì, è straordinariamente inquietante, e infestante. E molto tuenico.
Gianfranco Franchi
Prima pubblicazione: BlowUp, aprile 2013.
I fantasmi di Tuena: discorso sull’opera omnia…