Martin Muma

Martin Muma Book Cover Martin Muma
Ligio Zanini
Edit
2008
9788889359372

Storia esemplare di un figlio del popolo istriano, e di tutta la sua gente, nel secolo più infame della storia d'Europa, il Novecento. Martino è un giovanotto di Rovigno, semplice e gentile; nel suo pittoresco borgo si vivono i primi decenni d'Italia dopo un secolo e uno spicchio di Austria, ma c'è qualcosa che non va: questi italiani non somigliano affatto a Venezia, per sei o sette secoli madre e faro dell'Istria. Questi italiani sembrano sedotti e soggiogati da un tizio rude con la Testa Quadrata, non mostrano nessun rispetto per le minoranze slave dell'Istria e non conoscono affatto la storia della maggioranza istroveneta. Questi italiani sembravano rappresentare l'agognata pace dopo centovent'anni di dominazione straniera, e invece saranno il motore di tante disgrazie. Martino è uno di quelli che preferisce credere alla fratellanza e all'uguaglianza piuttosto che alla prepotenza e all'arroganza: Martino è uno di quelli che finisce per credere che sia possibile rovesciare la gente di Testa Quadrata combattendo a fianco dell'arrembante minoranza degli slavi. Non può sapere che nemmeno loro sono ciò che giurano di essere, cioè campioni del sogno socialista di giustizia e progresso: non può sapere che il loro Testa Quadrata, Tito, finirà per sfigurare l'Istria cambiando i nomi ai borghi, ai villaggi e alle poche città, relegando antagonisti e oppositori nella prigione di Goli Otok, Isola Calva, disintegrando un tessuto sociale che durava, intatto, da milletrecento anni, cioè da quando gli slavi s'erano affacciati all'Adriatico, nelle terre istrovenete e dalmate, prima per distruggere e poi per restare.

“Martin Muma”, libro della vita del poeta Ligio Zanini, nato a Rovigno nel 1927, sotto amministrazione italiana, e morto a Pola nel 1993, sotto amministrazione croata, è uno dei massimi romanzi italiani del Novecento; è il leale passaggio di testimone della lezione dei Malavoglia del grande siciliano e degli anarchici toscani della “Piazza d'Italia” del povero Tabucchi: è la tragedia secolare dei figli del popolo raccontata, con grazia e compostezza, da un figlio del popolo. Assieme, costituisce il massimo risultato della letteratura degli istriani “rimasti”: nello Stivale, abbiamo apprezzato sempre e soltanto la narrativa degli istriani “esuli”, del memorabile Tomizza di “Materada” e dell'amaro Quarantotti Gambini di “Primavera a Trieste”, passando per la frammentaria poesia dei “Bozzetti istriani” del misconosciuto e onesto Guido Miglia, ultimo direttore del quotidiano di Pola, e per il memoir dell'assurdo e disgraziato bombardamento alleato su Zara, “I bianchi binari del cielo” di Antonio Cattalini. Ma nel Belpaese s'è dimenticato, forse per troppo dolore, che se è vero che oltre trecentomila persone sono state costrette a lasciare le loro terre, e le loro case, o hanno sentito di doverlo fare, altre centomila almeno sono rimaste là dov'erano; in parte perché erano croati, sloveni, serbi o istrorumeni; in parte perché erano istroveneti che pensavano che la Jugoslavia sarebbe durata come l'Italia, cioè trent'anni al massimo, e che non aveva senso andarsene via. La Jugoslavia è durata, in effetti, poco più di trentacinque anni, in Istria. E i nostri hanno avuto qualche possibilità di restare fedeli alla loro storia. E di fare letteratura. Si sentivano rinnegati, saranno forse la nostra benedizione.

Gianfranco Franchi, dicembre 2013

Prima pubblicazione: Mangialibri

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Sempre su ZANINI e sul "MARTIN MUMA": testo della trasmissione che ho scritto e condotto per RadioRai Friuli-Venezia Giulia nell'ottobre del 2015.

Storia esemplare di un figlio del popolo istriano, e di tutta la sua gente, nel secolo più micidiale della storia d'Europa, il Novecento. Martino è un giovanotto di Rovigno, semplice e gentile, occhi celesti; “fragile creatura, perché pensante”, ammette presto, amaro, Zanini. Per poi sbuffare: “Forte proprio per la sua fragilità, che lo rende più leggero d'una piuma”. Nel suo pittoresco borgo adriatico si vivono i primi decenni d'Italia dopo un secolo e uno spicchio di Austria, ma c'è qualcosa che non va: questi nuovi amministratori italiani non somigliano affatto a Venezia, per sei o sette secoli madre e faro dell'Istria. Questi italiani sembrano sedotti, soggiogati e ammaestrati da un tizio rude con la Testa Quadrata, non conoscono la storia dell'Istria, non mostrano nessun rispetto per le variopinte minoranze slave dell'Istria e non conoscono affatto la storia della maggioranza istroveneta. Questi italiani sembravano e dovevano rappresentare l'agognata pace dopo centovent'anni di dominazione straniera, e invece saranno il motore di tante nuove disgrazie, e del gran macello di figli del popolo della Seconda Guerra Mondiale.

Martino è uno di quelli che istintivamente preferisce credere alla fratellanza e all'uguaglianza piuttosto che alla prepotenza e all'arroganza: Martino è uno di quelli che finisce per credere che sia possibile rovesciare la gente di Testa Quadrata combattendo a fianco dell'arrembante e ahimè ambigua minoranza istriana degli slavi. Non può sapere che nemmeno loro sono ciò che giurano di essere, cioè campioni del sogno socialista di giustizia, progresso e pace in terra: la beffa sarà crudele. Non può sapere che il loro Testa Quadrata, Tito, comincerà con lo sterminare gli oppositori politici, passerà per sfigurare l'Istria cambiando o storpiando i nomi ai borghi, ai villaggi e alle poche città, relegando ad libitum antagonisti e oppositori alla sua politica, di ogni terra ed etnia, sloveni, croati, serbi, montenegrini, bosniaci, macedoni, nella prigione di Goli Otok, Isola Calva; finendo, nelle parole di Zanini, per sottoporre quella povera isola “esclusivamente al potere totalitario, non dissimile in quel contesto dall'hitleriano o dallo stalinista”. Beffa crudele davvero aver combattuto per la libertà e per la giustizia al fianco di quella gente, in cambio della corruzione della storia millenaria del popolo istriano. Quasi un'involontaria abiura.

L'amministrazione titina finirà per disintegrare, con la sua politica neocoloniale nella nostra Istria, un tessuto sociale che durava, intatto, e non senza funambolismi diplomatici, da milletrecento anni, cioè da quando gli slavi s'erano affacciati all'Adriatico, nelle terre istrovenete e dalmate, prima per distruggere e poi per restare. Non esisterà rimedio se non nel sogno. E nelle nostre ingenue fragilissime preghiere per un'Unione Europea democratica, libertaria e nemica delle prepotenze nazionalistiche. Facile a dirsi. “Nella Resistenza doveva germogliare – scrive Zanini – la cultura pluralistica per dare poi, in questo che fu invece uno sterile quarantennio, i fiori e i frutti, al posto dei debiti che ci rendono schiavi”. Non è stato così.

Martin Muma è un socialista antieroico, isolato e lucidissimo, che scopre la disperata bellezza della libertà di giudizio e dell'autonomia sulla sua pelle. E quando può scegliere che nome dare al futuro, ragiona così: “Il nome, devi dar presto un nome a tua figlia. Hai soltanto l'imbarazzo della scelta tra un'infinità di appellativi, tutti rispettosi degli altri, fuorché quello di Stella Rossa che t'ha imprigionato per un'opinione. E Martino scelse il nome, il solo che potesse bramare un carcerato in cella d'isolamento d'una prigione comunista, per i suoi cari e per sé stesso. Sul retro del foglietto, che non doveva rimanergli, scrisse: Stella Bianca”. Già, perché la Stella Rossa era quella che sfrattava le mogli degli oppositori del regime titino e le spingeva a dichiarare i mariti “nemici del popolo, del partito e del compagno Tito”. E magari, come nel caso della moglie di Martino, la spedivano, mentre era in gravidanza, ad arrampicarsi sulle armature delle navi sullo scalo di Scoglio Olivi, a picchiettare la ruggine. Non era un caso singolo. Era prassi. “Quello che il partito comunista aveva fatto a mia moglie, una innocua ragazza diciassettenne, e con lei ai miei piccoli figli innocenti, son cose che, con tutta la buona volontà, non si possono mai dimenticare”, chiosa l'artista nella Nota in coda al libro. Punto, a capo.

Ezio Giuricin ha riconosciuto, tra i primi, il grande valore storico-documentaristico di questo romanzo: “Oltre che un’onirica narrazione autobiografica, la saga di una comunità e di una terra, delle sue sofferenze e disillusioni, è anche, anzi, soprattutto, il racconto di “Goli Otok”; la prima, o una delle prime elaborazioni letterarie della tragedia dell’«Isola Calva«; terribile tunnel di disumanità, di degrado, di orrore. Un’esperienza da cui Martin Muma-Zanini sarebbe uscito estremamente provato e ferito nello spirito. Ed a cui avrebbe risposto lasciandosi librare nell’aria, puntando cioè sulla ricerca della leggerezza, sull’isolamento, sulla rinuncia come reazione al peso del vivere”.

“Martin Muma”, il libro della vita del poeta Ligio Zanini, pescatore e maestro nato a Rovigno nel 1927, sotto amministrazione italiana, e morto a Pola nel 1993, sotto amministrazione croata, è uno dei massimi romanzi italiani del Novecento; è il leale passaggio di testimone della lezione dei Malavoglia del grande siciliano Verga e degli anarchici toscani della “Piazza d'Italia” del povero Tabucchi: è la tragedia secolare dei figli del popolo raccontata, con grazia e compostezza, da un figlio del popolo. Assieme, costituisce il massimo risultato della letteratura degli istriani “rimasti”: nello Stivale, abbiamo apprezzato sempre e soltanto la narrativa degli istriani “esuli”, del memorabile Tomizza di “Materada” e dell'amaro Quarantotti Gambini di “Primavera a Trieste”, passando per la frammentaria poesia dei “Bozzetti istriani” del misconosciuto e onesto Guido Miglia, ultimo direttore del quotidiano di Pola, e per il memoir dell'assurdo e disgraziato bombardamento alleato su Zara, “I bianchi binari del cielo” di Antonio Cattalini. Ma nel Belpaese s'è dimenticato, forse per troppo dolore, che se è vero che oltre trecentomila persone sono state costrette o indotte a lasciare le loro terre e le loro case, tra l'Istria, Fiume e Zara, o almeno hanno sentito di doverlo fare, altre centomila almeno sono rimaste là dov'erano; in parte perché erano croati, sloveni, serbi o cici, cioè istrorumeni; in parte perché, ventimila o trentamila circa di loro, considerando gli imboscati, erano istroveneti che pensavano che la Yugoslavia sarebbe durata come l'Italia, cioè trent'anni al massimo, e che non aveva senso andarsene via. La Yugoslavia è durata, in effetti, poco più di quarantacinque anni. Cioè niente. Niente. Una parentesi. E i nostri istriani superstiti hanno avuto qualche possibilità di restare fedeli alla loro storia. E di fare letteratura. Si sentivano rinnegati, saranno forse la nostra benedizione. È già così, da parecchi punti di vista. Ce ne stiamo accorgendo.

Nella rivista “La Battana”, nella prefazione alla primissima edizione del romanzo, si scriveva: “L’Istria non potrà mai scomparire con l’estinzione dei corpi che l’hanno abitata, perché il suo essere è stato consegnato alle tradizioni orali, alla letteratura, al sogno, agli infiniti percorsi dell’immaginario collettivo. Zanini è un cantore di quest’Istria, della sua Rovigno, di quella costa, dal Quieto a Promontore, che oggi rivivono nei giochi dei ragazzi della 'Cugulera', nei racconti di nonno Toni Spissiarito, nelle parole di Casanegra, da cui trasudano, intatte, perenni, le tracce di un mondo interiore. La gracile figura di Martino riassume in sé la parabola di un gruppo nazionale alla spasmodica ricerca di una rotta per tornare a casa; la storia degli italiani dell’Istria e di Fiume che non hanno scelto la strada dell’esilio, ma che decidendo di rimanere hanno conosciuto il dramma dei rinnegati: l’umiliazione dello sradicamento in casa propria”.

Secondo Claudio Magris, “Martin Muma” è “affresco epico di quella sua storia, che è insieme storia corale della sua gente e apologo di speranze, utopie e delusioni di un movimento di portata mondiale”. E la perdita di Zanini, pochi anni fa, ha significato qualcosa di drammatico: per Magris, “Con lui si è spenta una voce che ha espresso — in assoluta autonomia e senza alcuna chiusura locale, ma con totale apertura al mondo — il dramma dell'Istria nell'ultimo mezzo secolo. Prima di essere poeta nella sua affascinante lirica, Ligio Zanini lo è stato nella vita, che egli ha vissuto con passione, ingenuità, onestà incorruttibile, coraggio, con una straordinaria capacità di incantarsi per le cose nonostante le ingiustizie e le sofferenze patite, e di pagare senza batter ciglio il prezzo delle proprie illusioni”.

Chiudiamo con la vicenda editoriale del libro, ad oggi. “Martin Muma” è stato originariamente edito a cura della rivista letteraria "La Battana", nn. 95-96, Fiume, 1990; prima edizione italiana in volume per la Edit e Il Ramo d'Oro di Trieste è uscito nel 2008, col contributo dell'Università Popolare di Trieste e dell'Unione Italiana di Fiume, e con il sostegno della città di Rovigno. Il meglio – da questo punto di vista - deve ancora decisamente venire.

Gianfranco Franchi, ottobre 2015.

Prima pubblicazione: RadioRai Friuli-Venezia Giulia

I nostri “rimasti”, in Istria, hanno avuto qualche possibilità di restare fedeli alla loro storia. E di fare letteratura. Si sentivano rinnegati, saranno forse la nostra benedizione.