87mila tibetani uccisi dall’esercito del Partito Comunista Cinese, soltanto a ridosso della rivolta tibetana del 10 marzo 1959, figlia di 9 anni di oppressione e di una insopportabile occupazione.
Occupazione militare – e sinizzazione inclusa, stile “impero han” – che ancora oggi perdura.
Centinaia di monasteri e di templi distrutti e saccheggiati, oppure sfregiati e vandalizzati, in nome della presunta superiorità del socialismo cinese, estraneo alla spiritualità, alla religiosità, alle civiltà “altre”.
1 milione e 200mila persone morte durante i primi decenni di occupazione del Tibet: risultato delle sedicenti “rivoluzioni culturali” e delle violenze della dittatura di Mao. Migliaia di dissidenti detenuti nei campi di lavoro cinesi: segregati, torturati e magari ammazzati.
158 tibetani, monaci o laici, donne o ragazzi, si sono dati fuoco, negli ultimi anni, per domandare ascolto e solidarietà a tutto il mondo, asiatico o europeo, africano o atlantico. “China China China Out Out Out”, grida il popolo tibetano, costretto all’esodo e a una diaspora intercontinentale.
Deportazioni di massa dei nomadi tibetani, costretti a insediarsi in villaggi prefabbricati costruiti in località sperdute, e magari rieducati al comunismo.
Vi basta per dare solidarietà a questa povera gente, ai nostri fratelli tibetani, un tempo la decima nazione più estesa del mondo?
Noi ieri, 10 marzo 2023, a Roma abbiamo manifestato con loro e per loro, con semplicità e solidarietà.
No, non c’era il sindaco, uno che era tanto attivo dalle parti dell’Istituto Gramsci, guarda caso, e magari aveva imbarazzo. E no, non ho visto manco un assessore, manco un sottosegretario, niente.
No, non c’era la premier, e non c’erano manco i ministri, e direi manco i segretari, i sottosegretari, i portaborse, i lacchè, i giubilati e i miracolati: niente. E dire che teoricamente certe battaglie appartenevano alla destra nazionale, una volta.
No, non c’era nessuno della Comunità Ebraica di Roma, o almeno niente striscioni, niente segni di amicizia: e dire che di esodi e diaspore e di sofferenza ingiusta loro ne sanno qualcosa.
No, non c’era traccia di Roma, di Romana Chiesa: gli unici monaci erano tibetani, con un sorriso bellissimo e gli occhi gentili. E tanta dignità. Una profonda, eccezionale dignità.
C’erano le bandiere dell’Europa, quelle che mandano il sangue al cervello ai servi dei russi: a quello Zar che una volta lavorava per il KGB. C’erano le bandiere dell’Europa, le bandiere dell’Austria, dell’Olanda, dell’Italia, della Svezia, della Danimarca, della Francia. C’erano anche bandiere della Great Britain, ovviamente. C’erano tantissime bandiere del Tibet, bandiere proibite nell’odierno Impero Cinese.
Una di quelle bandiere era la mia, l’altra quella di mio figlio.
Dove eravate voi?
Di cosa avete paura?
Non vi fa schifo avere paura dei cinesi?
Franchi, 11 marzo 2023
Per approfondire: TIBET in PortoFranco /Associazione Italia-Tibet / Comunità Tibetana in Italia.