Hacca Edizioni
2018
9788898983391
A distanza di quarant'anni dalla prima volta, torna a disposizione del pubblico, in una nuova, terza edizione decisamente ampliata, il famigerato "Brown sugar", lontano esordio maudit del poeta Antonio Veneziani: il testo è corredato da una nota di Nicola Lagioia, dalla prefazione originale di Dario Bellezza [1978], dalla postfazione alla seconda edizione [1998], firmata da Renzo Paris, infine da un'intervista del giovane poeta romano Gabriele Galloni, una promessa, nuovo pupillo dell'artista.
Scriveva Bellezza, presentando Veneziani: "Non so chi è stato il suo vero maestro, intendo maestro di vita: certo che lui vive, fuggito dalla provincia, da buon poeta provinciale non contaminato dai miti metropolitani, la sua gloria come fosse il primo poeta su questa terra a inventarsi il mondo, a peccare di generosità, ad essere troppo 'intelligente' per essere compiutamente poeta". Il fraterno amico Renzo Paris osservava, vent'anni dopo: "Brown Sugar è un libro di culto, nato dal culto del poeta per l'amicizia e soprattutto per l'amicizia dei poeti. La sua profonda insicurezza, la sua invisibilità quotidiana, ne hanno fatto un poeta che vive ai margini ma che non ama la lingua marginale; si rifiuta di scrivere in argot i suoi amori. Le droghe sono un tentativo di comunicare con un dio terribile, quello della tradizione ebraica".
A dar detta a Nicola Lagioia, che incontrò il maestro Veneziani vent'anni fa, già all'epoca, "quando ci conoscemmo, parlava già dall'altro capo. Non era morto di overdose. Non era impazzito. Non era rimasto senza parole. Portava addosso qualche segno dell'esperienza, ma si era 'risvegliato dalla malattia' già da qualche anno, e le poesie di Brown Sugar erano la cronaca, la testimonianza e insieme la trasfigurazione poetica di quell'attraversamento".
Com'è invecchiato, allora, Brown Sugar? Per prima cosa, è diventato, sostanzialmente, edizione dopo edizione, un altro libro: si apre con diverse poesie datate 2018 ("Insignificanti questioni di polvere"), quindi ecco i testi originari del 1977-78 ("Dodici poesie per Brown Sugar e per John" e "Quel pied!") e quelli successivi, già pubblicati nella seconda edizione, datati 1991 ("Pisciatoi"), 1993 ("Lettera in punto di sangue"), 1996 ("Istantanee"), 1997 ("Compleanno"), 1998 ("Tatuaggio di Brown"). Filologicamente sarei orientato a raccontare il libro partendo dalle sezioni originarie, datate 1977-1978: tuttavia credo sia più rispettoso mantenere l'analisi sui binari prescelti dall'artista. Incipit di "Brown Sugar", dunque, diventa: "Questa notte, dopo mesi, ho sognato / ero in una città sconosciuta, credo. / Una luna cruda invadeva la via, / mentre seguivo le tasche di un sogno". Quarant'anni prima, invece: "Sfocia nella sera / il mio tempo perso. / La radice è un'oscena / cartella clinica": l'artista, passati "venticinque indulgenti inverni", poteva "scrivere la vita nuda / finalmente". Oggi, invece, si risveglia esausto: intravede qualcosa di diverso, in prospettiva ("Il sole / travestito e sospettoso scantonava a Nord") e intanto alterna memorie e amarezze, nostalgie dell'eroina e ricami sul presente. Come nella "Trilogia per David": "Un consunto disco di David Bowie / eroina pura, grappa di qualità / il camino acceso, fuori la neve / e l'insulto della mia età. / Albeggia marinaio. / Un dolore segreto / abbaia ai vetri e tu sembri rimproverarmi".
Il poeta si concede un "Siparietto": "Sono un vetro appannato, un corsivo / a piè di pagina. Sono troppo infelice"; l'apparizione di un bellissimo ragazzo va a consolarlo e rigenerarlo, nonostante non sappia più come abbracciarlo ("ho smarrito pure la strada di casa"). Altrove, la carne esulterà: così accade nelle "Insignificanti questioni di polvere", dove la notte diventa "un lessico/ di mani vogliose e occhi privi di segreto. / Aggiro il muro: corpi nudi come la luna".
L'amore è una gioia effimera, frantumata: "si è sempre inesperti della vita, / e l'amore è un esilio, / ininterrotto" – più avanti: "ambedue sappiamo che non c'è / via di fuga". E altrove: "Abbandoniamoci; non saremo più soli". E poi il poeta torna a meditare sul senso della vita, come in "Scadeva oggi il mio contratto...":
"Nella tazzina / discuto con dio, senza soggezione alcuna, / non è un miraggio. Tanto ho perso / l'ultimo tram e non ho una lira, / tutto dissipato in roba farlocca. / Si smaglia la mia rabbia / e truffaldina sale Brown. / In un pallido squarcio,/ tra le stracche nubi, rinasce il mondo".
Torniamo indietro, adesso. 1977-78. Torniamo a quel poeta di venticinque anni che voleva "scrivere la vita nuda / finalmente". Era un poeta che bruciava di "voglia d'esistere", mentre sprofondava nei miraggi dell'eroina, pretendendo di patteggiare con la morte, perché doveva essere un piacere sordamente suo. "Una goccia di sangue / mi ricorda che / a Brown non puoi dare / amore ridotto./ Gatto randagio all'alba / infilerò il letto giusto". È un odi et amo – perché "Brown è un grande amore / solo toglie la pelle". Brown è stato il varco, il varco per conoscere la morte: Antonio è rimasto un passo indietro.
"Il mio corpo / resta diffidente / dell'azzurro innocente / Eppure / ho una condizione di vantaggio / so come morire".
Andiamo negli anni Novanta, adesso, Veneziani quarantenne. Sulle prime, c'è più profonda sensualità ("Mi leghino, ragazzo / le tue cosce a spire / La trama dell'estasi / disegni il suo percorso / tutto intorno ai fianchi"), c'è qualche saluto al vecchio amico Dario Bellezza – ci sono avventure erotiche che ripetono la sua lezione, e quella di Sandro Penna. La solitudine non s'è dissolta, nonostante tutta questa carne: s'è solo addolcita. Più avanti, infatti, ritorna a essere prepotente: schiacciante. Il pensiero del signor Brown disorienta e conforta mentre distrugge (in lontananza, infine, s'intravede Dio: Veneziani si riconosce "ebreo ebbro e smarrito", vagheggia d'andare cantando un kaddish solitario, promettendo di tornare per Sukkoth, "a nuovo vino. Forse"). Forse.
Gianfranco Franchi, dicembre 2018.
Per approfondire: Antonio Veneziani in Porto Franco [8 strade]
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