Keller
2018
9788899911225
Sergej, da qualche tempo, ha capito che la lingua russa è la sua patria e che tutti quelli che la abitano sono i suoi unici concittadini, sono i suoi veri compagni. Scrive perché sente una necessità profonda di raccontare la sua storia, la storia recente della sua gente; "questo testo", ci ammonisce, "è un monumento, un muro del pianto", perché spesso i morti e chi li va commemorando non hanno altro luogo per incontrarsi che non sia "un muro di parole. Un muro che unisce vivi e morti". Sergej crede che l'eredità del sangue, l'eredità della memoria e l'eredità delle vite altrui bramino parole: "tutto cerca il linguaggio, la conclusione, vuole giungere al termine ultimo, essere riconosciuto e pianto". Il passato si muove come un essere vivente, parla attraverso la memoria dell'uomo, e il suo linguaggio, spiega, è tanto più chiaro quanto è più sincero chi lo trasmette. Questo suo libro è un disperato esercizio di sincerità. Sergej viene, da parte paterna, da antico sangue aristocratico, piuttosto decaduto: considera quel sangue "debole e bacato". Entrambi i suoi nonni sono morti in guerra; l'unico anziano che ha conosciuto in casa è stato il suo vicino di dacia. Quest'uomo ha giocato un ruolo fondamentale nella sua vita, sin da subito: è stato lui a rassenerare e confortare la madre di Sergej, in un momento particolarmente delicato della gravidanza. Quest'uomo – Sergej lo chiamava "Nonno Due" – non si era mai considerato apertamente parte della famiglia, né aveva fatto qualcosa per sloggiare dalla memoria i nonni veri, piuttosto s'era sempre riferito loro con molto rispetto: tuttavia aveva collaborato sostanzialmente a tutte le attività famigliari, compatibilmente con la sua cecità, integrandosi amabilmente. Nonno Due manteneva un certo riserbo sul suo passato; ogni tanto sembrava glissare con eccessiva esattezza su certi aspetti della sua vita, come se si fosse imbattuto, periodicamente, nei confini di una certa zona sulla quale s'era imposto di tacere. I genitori di Sergej s'erano convinti che quel buio coincidesse con qualche ingiustizia, forse con un arresto, coi lavori forzati. Qualcuno sospettava che avesse avuto qualche oscuro incarico per conto dello Stato, in passato. Quanto al resto, tutto quel che accadeva sembrava non sfiorarlo: viveva appartato, cercando di evitare di richiamare qualsiasi attenzione, e in ciò aveva raggiunto una perfezione "quasi monastica". Quando parlava con Sergej, per dargli qualche consiglio, dava pareri "pieni di logica e di esperienza", segno di pragmatismo e di buon senso. In effetti, Sergej era l'unica persona verso la quale manifestava una strana sollecitudine, in un certo senso pura empatia. Nonno Due finisce per dare la vita per quel ragazzino, sottoponendosi a una lunga trasfusione per salvarlo, dopo un incidente; qualche anno più tardi, morta anche la sua domestica, Sergej scopre che Nonno Due gli ha lasciato in eredità addirittura la casa. A quel punto, comincia a indagare più a fondo sul suo passato, a partire dai cassetti di casa sua...
Sergej Lebedev, giornalista e scrittore moscovita, classe 1981, ha esordito pubblicando questo romanzo nel 2010; nel momento in cui scrivo (fine luglio 2018) ha alle spalle quattro libri di narrativa; "Il confine dell'oblio" è l'unico a esser stato tradotto in lingua italiana, merito della Keller di Rovereto, marchio storicamente sensibile nei confronti delle letterature dell'est europeo. Tecnicamente, questo libro è un incrocio tra un memoir, un'inchiesta e una meditazione angosciosa sui gulag, e in generale sulle violenze, per lo più collettivamente rimosse, commesse in nome del socialismo sovietico; la scrittrice bielorussa Svjatlana Aleksievič, Nobel per la Letteratura una manciata d'anni fa, ha osservato che Lebedev "scrive di oggi, non di ieri. Scrive della nostra incapacità di comprendere fino in fondo l'epoca di Stalin. La perestrojka sembra morta e sepolta, mentre Stalin continua a vivere [...]. Una successione infinita e infausta. I personaggi di Lebedev cercano modi per recidere questo cordone ombelicale". L'escamotage della ricerca sul passato di "Nonno Due" si rivela un doloroso espediente per sondare l'inconscio di una generazione; il risultato è ondivago. Non so quanto possa essere andato perduto nella traduzione; nella bandella, ad esempio, leggo che in Germania qualcuno ha esaltato una "bellezza del linguaggio quasi impossibile da sopportare" – bellezza che nella nostra lingua italiana m'è sembrata ben diversa, complice una scrittura ingolfata da un periodare spesso contorto e farraginoso, da parecchie ripetizioni e da un'aggettivazione spesso enfatica o sentimentale; ho scandagliato tutta la rassegna stampa nostrana (se n'è parlato bene su diversi quotidiani, da "Repubblica" al "Giornale") e ho notato che per lo più l'aspetto che ha sedotto i nostri critici e i nostri giornalisti culturali è stato quello dell'argomento, cupo e ovviamente depressivo – da queste parti la tendenza è stata ad apprezzare, come dire, "l'impegno", la scelta di una materia un tempo "proibita" (poi è stato Solženicyn, poi Šalamov, etc). Io arriverei a dire che probabilmente l'aspetto più singolare e rilevante di questo libro è proprio quello "documentaristico": vale a dire, è appassionante (si fa per dire) e degno di meditazione prendere atto che i nostri coetanei russi faticano a fare i conti col passato sporco di sangue del loro vecchio regime, e che, come ha osservato la Aleksievič, abbiano difficoltà a recidere il legame con la Russia dei loro nonni (non con quella dei loro genitori). Il limite del "Confine dell'oblio" è che gioca con la narrativa, col diarismo e con il giallo (già, c'è più di qualche elemento che sembra discendere più da un giallaccio che da un romanzo "esistenziale" o "politico") rinunciando a una connotazione saggistica più netta e definita: è un grossissimo limite, perché sembra quasi di leggere un russo degli anni del "Disgelo" piuttosto che un russo dell'epoca di Putin. Quanti imbarazzi, quanti stupori, quante ritrosie (viene da chiedersi cosa abbiano studiato a scuola...).
Gianfranco Franchi, luglio 2018.
Prima pubblicazione: Mangialibri
Sergej Lebedev, giornalista e scrittore moscovita, classe 1981, ha esordito pubblicando questo romanzo nel 2010; nel momento in cui scrivo (fine luglio 2018) ha alle spalle quattro libri di narrativa; “Il confine dell’oblio” è l’unico a esser stato tradotto in lingua italiana…