Smith & Laforgue
2005
Rossella Dimichina è una giovanissima narratrice (classe 1982) che ancora non potete ordinare in libreria. Due ragioni. La prima: pubblica per la Smith & Laforgue Independent Press. Edizioni clandestine, contro il sistema: figlie d’una cura artigianale e d’una rabbia in via d’espressione (coscienza: in via di formazione) che è difficile non comprendere e non condividere, pure nella sua embrionale consapevolezza di (tutto quel che è l’editoria). La seconda: è acerba. È un’autrice che va cercando una via d’espressione che escluda l’autoreferenzialità: è innamorata della scrittura, e ha pubblicato un romanzo breve che non ha storia. È, appunto, scrittura – sic et simpliciter. E scrittura d’esordiente, quindi grezza ed estrema e improvvisamente vitale e intelligente; estranea al labor limae, ancora intossicata dal suo stesso liquido amniotico.
Con qualche difficoltà potremmo risalire alla trama, e tentare di proporla ai neofiti. Perché farlo? Onestamente, non ha senso. “Il quadro” è un esercizio di scrittura iper-aggettivale, lirica ed egolatrica che avrebbe avuto valenza rivoluzionaria se non avessimo conosciuto decadentismo, scapigliatura (italiche lettere: per pochi: nessuno legge) e – a voler essere onesti – espressionismo e dadaismo, nelle arti. So bene che nominare quattro movimenti pressoché contemporanei può scuotere il lettore debole, e allora vedo di chiarire. Decadentismo: per via del distacco tra l’artista e la realtà (la: società). Scapigliatura: per via della ridondanza barocca dell’aggettivazione, della tracimante ed esibita autoreferenzialità proto-espressionista di certi frammenti, del fallito distacco dalla lingua letteraria. Espressionismo: per l’inconcludenza, l’insignificanza (se non: a prezzo di faticosa e rabdomantica – nemmeno empatica – immersione nel testo): il passo successivo è l’onanismo. Dadaismo: per il forse non preteso non-sense. Chiudo il libro e penso: cosa m’ha comunicato la Dimichina? Scrittura: e amore per la scrittura. Estraneità alle coprolalie cannibalesche, alla scrittura di genere, e promettente dedizione all’egoarchica scrittura del tempio dell’ombelico, e della lirica (mitologizzata) dell’ombelico. Non basta a farne un capolavoro: non dovrebbe bastare a farne un libro. Può bastare a farne un libro, se questo nasce clandestino e artigianale, a cura dell’autore & e del mentore. Perché: in questo caso, non esiste logica commerciale; pertanto, ogni finalità che non sia puramente espressiva è trascurabile.
Il prosimetro, occasionalmente riscoperto, non è quello d’ottocento anni fa della Vita Nova: è prosa + prosa in versi. Quindi: prosa. La Dimichina ha letto poesia ma non scrive poesie: scrive versi come “ed ora possono procedere trasversalmente / per le vie di coloro che intendono salvare”. Capite dunque che si tratta di gioco letterario: sentito, vissuto, scritto addirittura con passione: ma ancora, ed evidentemente, gioco.
“Il quadro” è l’opera prima di un’autrice che forse non passerà alla storia dell’arte letteraria per lo sperimentalismo, o per la ricerca d’una via nuova: ma potrà essere gradito da quanti, e tra quanti, vanno cercando almeno l’embrione d’un ritorno a quella che alcuni chiameranno “ricercatezza”, altri “abbozzata lingua letteraria”. Strutturato in cinque parti, canta la storia d’un amore. Forse è questa la ragione dell’ostentata autoreferenzialità – ossia la convenzionalità dell’argomento, e l’incapacità – umana e quindi comprensibile – di rinnovarlo. Un ventinovenne già cadavere s’innamora d’un’idea: “serranda d’angeli”, per colpa di “incauta dissolvenza di solitudini”.
Non manca la retorica: “È incredibile come gli uomini trovino ridicole le scimmie se sono vestite, ma non trovano ridicoli loro stessi col culo appoggiato su una sedia” (p. 27): dove la parola “culo” vorrebbe forse provocare qualcosa di diverso da uno sbadiglio, invano.
Nell’intelligente e creativa postfazione, Paolo Gentili scrive: “Un Amore, quello del giovane e della sua Lucille – la danzatrice dalla delicatissima nuca ritratta nel quadro – che, sia pur vissuto nel totale e anarchico deragliamento non solo della sensualità, ma persino dell’intelligenza che si approssima creativamente e starei per dire edonisticamente alla follia, un Amore, dicevo, che convoglia l’ansia di Assoluto verso le regioni più remote dell’Essere: e l’Essere si disvela nel sogno attraverso figure e simboli di una suprema ambiguità. Il re, la regina, la torre sono archetipi della lotta per la vita e per l’amore”. Ora: niente di ambiguo, temo, in nessuna delle prime due figure. Tuttavia, apprezzabile lo sforzo di proporre sensi e significati – quando, onestamente, non credo esistano; a meno che l’autrice non voglia proporceli: o, per suprema franchezza, imporceli.
Morale della favola: fosse stato un libro Einaudi, avrei avuto serie difficoltà a scriverne. Le ragioni immagino siano comprensibili. Trattandosi di un libro della Smith & Laforgue, leggo e commento e cerco “qualcosa di buono”. Indubbiamente, c’è: segni di intelligenza, amore per la scrittura, dedizione alla letteratura. Doni non comuni in questo triste tempo, che promuove imbrattacarte e cannibali allo status di autori. Doti non sufficienti a chiamare “grande” un’autrice che è giovane e assai acerba. Attendiamo, con fiducia, uno scritto che abbia senso: per i nonsense è sufficiente scriverci un paio di mail, inter nos. Essere clandestini senza essere propositivi o rivoluzionari non ha molto senso: sembra narcisismo, tutto qui. La Dimichina legga Dossi o qualche futurista minore e quindi si domandi: cosa significa scrivere, nel 2005?
È de-ideologizzata. È graziosa. Ma se avesse assemblato scritti composti casualmente negli ultimi tre anni avrebbe ottenuto lo stesso risultato. Ossia: per ambizione pindarica, o per esibizione ombelicale, il niente. Ma: occasionalmente apprezzabile. È questa letteratura nuova? No. È letteratura amicale. Sveglia. Così, avranno ragione a pubblicare “Io non ho paura”. Almeno, pur nella sua patetica scrittura di genere, ha qualcosa da comunicare di diverso da qualche aggettivo impilato qua e là, a suggerire: io so scrivere, guarda? Sì – sai scrivere. Allora, scrivi.
BREVI NOTE BIOGRAFICHE (a cura dell’autrice)
Rossella Dimichina nasce nel giorno di dicembre 4 del 1982. Scrive da due anni. La sua attività principale è mettersi in situazioni che le causeranno la morte. E detesta l’insalata. Specie nei panini mac donald’s, poiché ritiene che in questo modo tentino lascivamente di dare un’idea di salute alimentare a ciò che per sua stessa natura non ne ha affatto. Moi si ritiene d’essere la più grande scrittrice vivente, e di tutti i tempi dopo Djuna Barnes, nella barbara Demonia.
EDIZIONE ESAMINATA
Rossella Dimichina, “Il quadro”, Smith & Laforgue Independent Press, 2005. Postfazione di Paolo Gentili.
Gianfranco Franchi, aprile 2005.
Prima pubblicazione: Lankelot