Vallecchi
1981
"Nessun millennio / chiaramente / melma e pali sulla terra e muri / sui pali o pietre sopra i muri – / nessun millennio o cerimonia / Eppure sembra esserci un diffuso / un inverarsi multiforme di pensiero / una misura pitagorica, un ente che diviene / Ma è un fuoco / uno stabile bagliore / visibile ogni notte all’orizzonte, / la fine su di noi. / Un disfarsi / minuzioso / un’indiscriminata vita vegetale / di sopra dell’eterno rimestio / Non c’è millennio" (Troisio, “Il millennio”, in “Venticinque vettori”, p. 48).
Motivi di un Novecento mercantile filtrato, direbbe l’artista: filtrato dall’intelligenza, dalla ricerca delle parole che popolano l’inconscio, dall’assemblaggio consapevole di culture e lingue occidentali: virando alla ricerca di qualcosa di nuovo, con un coraggio sconfinato e in buona compagnia. Qui s’individuano satira, lirica, elegia, ludo postmoderno. “Venticinque vettori”, raccolta immediatamente successiva a “Precario”, è stato pubblicato per Vallecchi nel 1981. Scriveva Troisio nella Prefazione: “Questi 25 vettori (residuati testuali) sono l’effetto personale di un esperimento collettivo (vedi l’antologia 'By Logos' di Lacaita e quel saggio introduttivo imputabile anche allo scrivente) inventato progettando itinerari di evasione-esproprio eto-antropologico nei territori testuali altrui, con diritti di bottino e devastazione reciproci. Lo scrivente perciò si è scaraventato con forza nelle aree altrui e come (un) lanzichenecco ha trafugato, distrutto, deciso cosa c’era di buono, incendiando i rifiuti, ubriacandosi e violando aiole e pratelli, ma divertendosi anche a inquinare rocciosi deserti intatti e inquietanti, con proietti innominabili (…). Questi 25 residui hanno l’ardire di porsi come esistenti in un orizzonte d’attesa ad alta improbabilità. Plagio, oltraggio, spavalderia, audacia neocoscale, 'aventure'” (p. 5).
Elenchiamo quindi, a beneficio dei contemporanei e di quanti non potranno recuperare a breve copia della preziosa raccolta (pure smaniosi: eccomi a incrudelirli) i destinatari, coprotagonisti di questo libro-bottino: Elio Filippo Accrocca, Giorgio Barberi Squarotti, Mariella Bettarini, Pietro Cimatti, Giuliano Dego, Luciano Erba, Gilberto Finzi, V.S. Gaudio, Jolanda Insana, Eugenio Miccini, Alberto Mario Moriconi, Antonio Porta, Silvio Ramat, Mario Ramous, Cesare Ruffato, Paolo Ruffilli, Gilberto Sacerdoti, Roberto Sanesi, Gregorio Scalise, Achille Serrao, Maria Luisa Spaziani, Gianni Toti, Sebastiano Vassalli, Andrea Zanzotto.
È il momento di una prevedibile ammissione: mi sono accorto, perlustrando il web in cerca di loro notizie, di quanta poesia contemporanea possa essermi sfuggita, e di quanto complessa sia l’impresa di darne una visione lineare e organica anche dopo decenni di studii. Questo libro assume altro fascino al solo pensiero che allora tutte queste intelligenze erano riunite e dialoganti, nel fiorire della loro attività artistica: il Professor Troisio potrebbe e dovrebbe raccontare una storia per ognuno di quei nomi, per avvicinarci ulteriormente alla loro produzione. Non sono riuscito a trovare tracce del poeta Gaudio, ad esempio, e del traduttore e poeta Ramous ho scoperto soltanto che il suo archivio, donato dagli eredi nel 2004, è in procinto di essere inventariato in Casa Carducci. Mi piacerebbe – e chiudo qui queste malinconiche e oneste ammissioni dei miei limiti e queste solari dichiarazioni di desiderio di studio – che per ciascuno di questi artisti, nel tempo, esistessero schede complete di analisi delle principali opere, da queste parti. A partire dal grande Luciano Erba, da Cesare Ruffato e da Andrea Zanzotto. Credo di interpretare anche il desiderio dell’autore dei Vettori, del nostro Troisio: che generosamente nominava ciascuno dei suoi compagni, pronosticando la nascita di un luogo letterario come Lankelot. Quel catalogo era un messaggio nella bottiglia. Raccogliamolo.
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Scandalo della poesia cantare per l’eresia, scrive Troisio nel primo componimento, la satira “De Republica”: dal “concretizzato nulla / in alea irreversibile” dell’incipit sino al motteggio caustico: “Si va in vacanza si va in vacanza / Scandalo della poesia perché / nulla è cambiato / tocca a noi di sinistra / cantare per l’eresia”, con clausola montaliana (andando in un’aria di vetro): i versi si dispongono armoniosamente, a differenza di quanto avverrà altrove. Il poeta biancheggia e trattiene il respiro, scrive come dipingendo su una tela: lasciando ampi margini – censura, elisione, frammentazione della prevedibilità – per l’interiorizzazione e il rinnovamento dell’opera nell’immaginazione del lettore.
S’intravedono promettenti malinconie politico-esistenziali: penso a una poesia come “I cannocchiali della metonimia”, reminiscenza degli anni in cui si viveva tremando d’emozione, attendendo “tropicali stazioni notturne tutta la notte / spinellando affardellato / tutto è successo così in fretta nel ’68 / ho detto in seguito parole privato pubbliche / mi sono detto continua su questo muro”: altrove appaiono stelle inquietanti, “morgane / di luce compromissoria”: e avanti per memorie – Troisio è poeta visivo, restituisce desideri ed emozioni scolpendo immagini sedimentate nel suo spirito.
Lirica pura in “Sempre notte in Calabria”. Dovrò rinunciare alla fedele trascrizione dei versi, sparsi come sono da un margine all’altro; lasciate tuttavia che il suono e i sentimenti vivano in voi: “L’uomo muore prima / dell’alba / che lo sottrae, nessuno ha visto ancora / siamo dormienti e gridiamo / nel sonno, notte è / l’alba del cuore” il poeta sta cantando il silenzio insonne del suo assenzio, nella prima notte d’un amore che sembra non conoscere altro che desiderio di nuovi ritorni.
I versi affastellati e postmoderni dell’appena precedente “Precario” tornano – commistione sublime di latino, greco, francese e inglese: quanto sembrava vicino il risveglio di Finnegan, quando sognare si doveva una neolingua – in “Invano gli oceani si disporranno nelle concavità”: “Indagine nello spreco varietatum / vanitas delle distanze crisi energetica / contrectatio dei massimi sistemi / Dal futuro rallentatore sinclinale / allontanamento fino al limite del campo / via negationis vertige du signifiant / corruptio imaginis / (Esopo: Odòiporos tis…) / segue disco. / (Replay)”.
Un componimento importante è presente sia in questi “Vettori” che in “Precario”: si tratta dell’amaro divertissement “Zio Paperone attraversa Paperopoli” – che diventa Pauperopoli, India – versi importanti non appena verranno integrati e inquadrati nel contesto della produzione narrativa del nostro letterato viaggiatore. Rallenta al passo, il senso – scrive Troisio in “Modulo modulor” – e questo libro si fa scrigno per indagare mondi nuovi e dimensioni liriche altre, l’autore strumento di conoscenza d’un periodo storico e artistico che in versi narra, anarchico e infiammato dal sacro fuoco; fuoco unico che esista, omicida gentile, Letteratura.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Luciano Troisio (Monfalcone, Go, 1938-Padova, 2018), ricercatore del Dipartimento di italianistica dell’Università di Padova, ha insegnato nelle Università di Pechino, Shangai, Bratislava, Lubiana.
Luciano Troisio, “Venticinque vettori”, Vallecchi, Firenze 1981.
Gianfranco Franchi, gennaio 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.