Marsilio
2010
9788831705769
“La morte d'un cane non altera l'universo. Continuano a ruotare pianeti ed elettroni. Questo pomeriggio, pioverà. Benché il mio cane sia morto, il mese di luglio è qui in Messico la stagione delle piogge. Tuttavia son convinto, e non smetterò d'esserlo, che il mio cane morto era una forma splendida della vita: grave, nobile, amorosa e pura. Son convinto, e non smetterò d'esserlo, che poche purezze in questo mondo, senza saperlo anelante all'innocenza, eguagliano quella che si scorge nei mansueti e soavi occhi d'un animale” (Coccioli, “Requiem per un cane”, I, p. 17).
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Trasfigurare la morte d'un compagno di vita fedele, leale e allegro come un cane è difficile: perché per troppo tempo si rimane schiacciati da una sofferenza metallica, e sconsolati ci si angoscia a domandarsi come possa l'Eterno tollerare lo scandalo del dolore d'un innocente. Questo insegna Coccioli. E il miracolo (miracolo o “evento”, meglio) è che sembra tutto vero, che non si sente l'artificio della retorica. E poi Coccioli ricorda (capisce) che l'unica consolazione è ripetersi che, “se qualcosa rimane di quel che visse, e qualcosa rimane, qualcosa rimane!, Fiorello non s'è diviso da me. In una dimensione meno incomprensibile di questa, un giorno ci rivedremo” (p. 20).
E l'artista toscano che sapeva scrivere letteratura in tre lingue diverse somiglia al più semplice dei figli del popolo, tutto a un tratto. Piange e non sa come reagire, piange e non si sa fermare. Questo è il segreto della grandezza di questo piccolo libro: della sua inequivocabile universalità. È disperato, e dopo tanta disperazione si tinge di amarcord, di fantasia e di pietà.
Coccioli cerca disperatamente senso al distacco dal suo amato cane. Non può trovarlo nella malinconia dei ricordi più belli, né nell'amara e dolcissima giostra dei ricordi divertenti. Può trovarlo soltanto nell'idea dell'eternità. Così: “Dalla regione di chiarità in cui sto ora, dimensione perfetta, e non effimera, ti confermo che ti braccava una menzogna. Una menzogna, una menzogna: perché tutto, non-spazio e non-tempo, tutto è pienezza di presente: non c'è vuoto né c'è durata. Non c'è morte” (p. 33). E intanto, tuttavia, il tempo passa. Ogni giorno che passa è un giorno vissuto più dell'amico. E ogni giorno che passa il desiderio di ricordare diventa più forte. E ci sono tanti piccoli frammenti, che vanno a comporre il “Requiem”, di quotidianità e di fraternità, e d'appartenenza: puntinati da una spiritualità tracimante, autentica. Commovente. Ricordando il suo Fiorello, Coccioli capisce che un cane ti insegna a distinguere tra ciò che è essenziale e ciò che è marginale o irrilevante. Perché un cane non deve imparare a distinguere l'essenziale: già sa cos'è. Perché i suoi occhi sono gli occhi dell'innocenza. E poi, l'artista capisce d'essere stato innamorato del suo cane, perché “poche creature mi sembravano più di lui meritevoli d'essere amate” (p. 80), perché era un “simbolo puro della vita”, della vita capace d'essere aliena alla morte. Al termine del suo viaggio, Coccioli prega – meglio: scrivendo è come se pregasse. E prega per un giorno in cui si possa amare al di là “dei sensi in cui siamo rinchiusi, e senza paura, in una gioia inalterabile, questo sì è il paradiso; ed è là che spero di ritrovarti, Fiorello, là dove impera non un'insensata gerarchia di uomini e cani, ma il livellamento amoroso di esseri dopo la loro morte più vivi” (49, p. 133). Bello.
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“Requiem per un cane”, originariamente scritto in spagnolo e pubblicato in Messico, nel 1973, fu tradotto e rivisto da Carlo Coccioli nel 1977, per la prima edizione italiana. Trentatré anni più tardi, il libro torna a disposizione del pubblico grazie alla nuova edizione Marsilio, completa di buona prefazione di Marco Lodoli e breve nota biobibliografica. Nella prefazione, il professor Lodoli ricorda: “Carlo Coccioli è stato uno scrittore tenuto costantemente ai margini della società letteraria del suo tempo, e forse non c'è stato neppure un consapevole ostracismo, forse le cose sono andate così perché non potevano andare altrimenti: troppo diverso Coccioli per poter essere integrato nel mondo della cultura italiana, troppo poco organico, troppo estraneo alle polemiche, alle piccinerie e alle grandezze [...]”. Nessun accenno alla disgraziata egemonia culturale d'antan, manco vago: peccato. Sarebbe stato discretamente sensato. Stiano come stiano le cose, festeggiamo adesso, subito e con la giusta soddisfazione, la restituzione almeno del “Requiem”, qualche anno dopo “Davide”, alle librerie e alle biblioteche. È un gran segno.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Carlo Coccioli (Livorno, 1920 – Città del Messico, 2003), scrittore italiano poliglotta. Laureato in Lingue e Letterature camito-semitiche a Napoli, passò l'adolescenza tra Bengasi e Fiume. Ha combattuto nella Resistenza, nelle file di Giustizia e Libertà [Medaglia d'Argento]. Ha vissuto a Parigi dal 1949 al 1953, quindi è stato in Messico. L'esordio letterario: “Il migliore e l'ultimo” (Vallecchi, 1946).
Carlo Coccioli, “Requiem per un cane”, Marsilio, Venezia 2010. Prefazione di Marco Lodoli. 978-88-317-0576-9
Prima edizione: Città del Messico, 1973. Milano (Rusconi), 1977.
Gianfranco Franchi, settembre 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
“Felice l'uomo che sa piangere, che sa ridere, vicino al suo cane!” (Coccioli, “Requiem per un cane”)